Le Banche Popolari e quelle di Credito Cooperativo invece sembrano attraversare un periodo di turbolenza e stanno soffrendo a motivo dei profondi cambiamenti richiesti dal sistema. Ogni giorno i quotidiani dedicano grande attenzione all’argomento e l’attesa è grande per quel che verrà e che è già avvenuto. Le quattro Banche Popolari dell’Italia centrale – Carife, Carichieti, Banca Etruria e Banca Marche – hanno scosso l’opinione pubblica e hanno destato l’interesse e la reazione dei molti clienti di quegli istituti di credito (e di altri). L’intera platea di coloro che, in vario modo, hanno un qualche rapporto con le banche e, in particolare, con strumenti finanziari che ad esse fanno riferimento (azioni, obbligazioni, fondi, ecc.), hanno messo in mora il loro rapporto con le banche e la loro fiducia in esse va scemando sempre più.
Certo, non tutte le banche hanno i medesimi problemi e non tutti i loro clienti attraversano periodi di crisi. Tuttavia, in tutti va calando la fiducia e sale la preoccupazione per i loro risparmi. Quando ‘le acque si calmeranno’ e sarà passata la tempesta, allora si vedrà dove stiano le colpe e chi siano i responsabili, perché è certo che le responsabilità ci sono e che hanno a che vedere, oltre che ‘le responsabilità’ personali e di comportamenti professionali (di competenza della magistratura), con il sistema bancario (di competenza anche politica). Ci sono novità anche per le BCC: si parla di accorpamento e probabilmente del mutamento della ‘natura’ delle stesse BCC (in “società per azioni”).
Le quattro banche non sono tutte piccole ma insistono nel territorio. Si spera che le trasformazioni non riguardino il mondo delle (altre) Banche Popolari e delle Banche di Credito Cooperativo e che non venga stravolto il tessuto economico e organizzativo a cui danno vita le molteplicità del territorio italiano. Sarebbe un “pezzo di storia” ad essere cancellato: verrebbe ad essere perso il loro legame con il territorio, con la base sociale che rappresenta il patrimonio di storia di quella ‘banca’, con i rapporti umani e con il tessuto territoriale che si riconosceva in essa. Sarebbe un grave errore e un danno destinato, non solo a impoverire dei territori, di per sé, già sofferenti ed esposti alla povertà, ma soprattutto a renderli marginali dal punto di vista della partecipazione e, in fondo, della democrazia e dei diritti di cittadinanza; gente senza diritti e anonimi, privati di un ‘piccolo’ futuro e quello delle loro famiglie.
È vero che oggi, in un mondo globalizzato, non avrebbero più senso le piccole dimensioni, ma è anche vero che gli uomini ‘globalizzati’ hanno la necessità e il bisogno di ritrovarsi gomito a gomito per vivere l’esistenza quotidiana. Non a caso alcuni studiosi hanno coniato il termine “glocalizzazione”, che coniuga i due termini “globalizzazione” e “locale”. Quello che emerge dal ‘movimento cooperativo’ dall’ultimo ventennio è che si va sempre più affermando la volontà di incidere sul mercato quale forza economica significativa.
La considerazione del rafforzamento del trend di sviluppo del sistema cooperativo e il relativo ed accresciuto livello di diffusione territoriale testimoniano il fatto che quello cooperativistico è una realtà estesa e non sporadica. Perciò la cooperazione riveste un ruolo importante all’interno del mondo economico e, soprattutto, costituisce un modello di imprenditoria che coniuga il ruolo economico con l’innovazione, la solidarietà e la democrazia. Ma la cooperazione è attenta alla persona, non mira soltanto al benessere generale, non vuole che gli uomini stiano bene economicamente ma che lo siano ‘insieme’, che insieme cerchino e realizzino “il bene comune”.
No al denaro e al profitto, che diventa ‘idolo’, si all’economia del ‘dono’ che mette al centro di tutto la persona: sì alla globalizzazione della solidarietà! Questo è il senso della cooperazione e dell’essere cooperativa: una sfida che riguarda tutto e tutti, anche la ‘matematica’, dice papa Francesco rivolto ai soci delle cooperative convenuti a Roma, perché in cooperativa “uno più uno fa tre”; la cooperazione è così linfa di un’economia per l’uomo, “antidoto efficace alla logica dello scarto”. Ma essa, guardando al futuro, porta il cambiamento sulle nuove frontiere delle periferie esistenziali dove la speranza ha bisogno di emergere e dove il sistema socio-politico attuale, purtroppo, sembra fatalmente destinato a soffocare la speranza incrementando rischi e minacce. Inventare invece nuove forme di cooperazione per continuare a essere il motore che solleva e sviluppa la parte che debole della comunità e della società civile, specie le parti più deboli costituite dai giovani e dalle donne. In tal senso occorre ri-creare le forme di welfare per una società ‘sfilacciata’ e sempre più disgregata: la cooperazione è lo strumento adatto perché è quello che mette al centro la persona umana coniugando insieme giustizia e solidarietà. Le spinte allora verso il denaro e il capitale cedono il posto al capitale umano che pone al centro la persona.
Mettere al centro la cooperazione significa riscoprire il senso vero e originario di fare economia e di scoprire il senso profondo di cercare ‘il bene comune’ della comunità umana. La stessa promozione imprenditoriale della cooperazione deve potere coinvolgere i cooperatori migliorandone le relazioni interpersonali, accentuandone la partecipazione e garantendone sempre più la qualità di vita.