Il Papa, nella Laudato Si’, cita il paradigma tecnocratico, col quale si spiega il cambiamento più significativo che l’uomo stia vivendo sia sul piano sociale sia sul piano antropologico. Questa posizione del Papa ci pareva un ulteriore – e, non c’è che dire, assai autorevole – indizio per legittimare quella considerazione secondo cui questi anni, a cavallo tra i due secoli, ci fanno vivere un mutamento tale che la storia ricorderà come ha fatto per passaggi quali la caduta dell’Impero romano o la Rivoluzione industriale. Passaggi epocali. Se è così, allora converrà capirne qualcosa di più.
Ecco allora il nostro direttore Leonardo Becchetti ad introdurre un pensiero che parte dalle conseguenze economiche – che sono molte, in primis in tema di lavoro – per arrivare alle conseguenze di ordine antropologico e sociale: ecco, per questo l’economia civile – che ha a che fare con entrambe le “conseguenze” – si trova di fronte ad una sfida interessante, perché il capitale sociale produce beni (relazionali) civicamente corretti. Ma come si produce capitale sociale quando le relazioni sono costituite anche da connessioni? Le relazioni sono possibili solo offline? Non è forse la stessa struttura sociale, oramai, a cercare (anche affannosamente!) l’on line? Tonino Cantelmi definisce così la società incessante, incapace di staccare la spina, di differenziare il giorno con la notte, le domeniche dai lunedì, le relazioni dalle connessioni.
La rivoluzione digitale sollecita il fare per esserci e l’esserci per apparire. I new media sono strumenti potentissimi: apparentemente democratici, sono strumenti di dominio che possono seminare caos e instabilità. E dire che il pensiero che li genera sarebbe di segno opposto. È Giovanni Cogliandro a ripassare quell’evoluzione del pensiero filosofico, soprattutto di tradizione gnostica, che vede il mondo come caos primordiale a cui solo l’uomo può rispondere riportando il giusto ordine: il paradigma tecnocratico, che vede il mondo come una realtà informe totalmente disponibile alla manipolazione dell’uomo, ai suoi (più o meno sconclusionati) desideri di potenza. Peraltro, come ci spiega con saggezza Marco Guzzi, ad ogni miglioramento tecnico s’accompagna un pericolo reale, dato che un potere potrà essere esercitato più o meno bene, ma certamente non saremo immuni da un desiderio egoistico di dominio verso l’altro che prima o poi si manifesterà. Per questo Marco, con un finale di profonda spiritualità, ci indica un doppio livello di intervento. O di battaglia?
Alessandro Giuliani non ha mezzi termini, anzitutto nel definire la situazione: noi non siamo di fronte ad una forma di secolarismo, ma ad una vera e propria religione alternativa al cristianesimo. La scienza e la tecnica non sono un male, ma l’idolatria – che si manifesta anche con l’idea che sia possibile ogni conquista – conquista e sostituisce lo spirito umano. Per questo Alessandro ci incita anche a lasciare, per qualche tempo, gli studi di sociologia, diritto e storia, perché il clangore delle armi è quello della chimica, della fisica, della statistica. D’altra parte, se noi pensiamo che la tecnica si limiti ad essere uno strumento, ci sbagliamo di grosso. Massimiliano Padula, proprio a partire dall’esperienza dei new media, semplifica efficacemente la questione affermando che essi sono passati dall’essere strumenti ad ambienti, da oggetti a soggetti dell’universo social: è il paradigma tecnocratico, baby.
Non vi basta? Abbiamo voluto concludere questa qualificatissima rassegna con un’intervista ad un sociologo, Mauro Magatti, che da tempo descrive ciò che lui ha definito come capitalismo tecno-nichilista e ciò che lui pone come questione essenziale: il problema di come stabilire una corretta e virtuosa relazione tra sviluppo economico e umano. Una possibilità sta nell’idea di generatività, per superare quell’idea della libertà che si fonda solo sul poter fare tante cose, essere liberi di o liberi da, perché nel mondo per generare occorre una relazione, e quindi una libertà per. Una libertà, invece, costruita solo sull’individualità di un essere sollecitato all’egoismo non può che produrre solitudine e povertà. Non è vero che tutto è intorno a te: ma ciò che è peggio è credere a questa idea, e farla esistere e farla durare.