Un percorso, quello dell’antimafia, che incontra successi e insuccessi. Ma che va sostenuto perché la legalità faccia crescere una nuova stagione democratica e di sviluppo economico. L’antimafia non si fonda solo sulla repressione, ma sull’intelligente analisi della struttura mafiosa.
Ecco allora le osservazioni sociologiche di Antonio La Spina, che mette in luce il ruolo decisivo dei quadri intermedi, di quella che noi chiameremmo “classe dirigente”, nella loro capacità di adottare strategie intelligenti e creative: la lotta alla mafia si fa anche indebolendo questo preciso punto della struttura. O ancora ecco il pensiero di Antonio Russo, che sottolinea il ruolo non soltanto di ciò che si fa, ma di ciò che non si fa a sufficienza, delle omissioni e dell’incapacità di cogliere che la lotta alla mafia non consente di non prendere posizione, di non appartenere ad una nuova resistenza. O ecco infine il pensiero di un esponente di una funzione in prima linea nella lotta alla mafia, di un giudice come Gaspare Sturzo, che richiama il ruolo svolto dalla Giustizia italiana, che non è “alle porte del deserto”.
Le mafie, prendendo a prestito un’espressione proprio di Sturzo, organizzano il “male comune”. A noi, che abbiamo scelto di chiamarci in modo esattamente opposto, non poteva sfuggire questa dimensione. Allora questo approfondimento diventa anche il nostro modo per rinnovare una dichiarazione d’intenti: a noi, di comune, piace il bene, la legge. Perché l’Italia si può riscattare solo col ritorno il più vicino possibile alla linea della legalità, col sentire la legge come fatto proprio, essenziale, costitutivo, identitario: nostro. Insomma, a sentire la legalità come cosa nostra.