E’ un grande risultato ottenuto grazie alle pressioni della società civile, che da oltre un anno si batte perché sia garantito, come nei negoziati dell’Organizzazione mondiale del Commercio, il pieno accesso alle informazioni di rilievo. Soprattutto, però, come ha riconosciuto su ricorso di molte ong europee l’ Autorità per la trasparenza Ue, che alla mattina del 7 gennaio stesso ha presentato un dettagliato documento contro l’operato della Commissione Ue, la sola pubblicazione non basta a riportare la trasparenza in questa pagina oscura della democrazia europea.
Bisogna che la Commissione, dice l’Ombusdman, tenga conto delle posizioni espresse dai Parlamenti e dalla cittadinanza organizzata nel corso del negoziato, che dia conto e pubblichi le minute di tutti gli incontri che fa con i cosiddetti “portatori di interesse”, che stanno di fatto condizionando con discrezione il negoziato, e che siano rese pubbliche e tenute in considerazione tutte le manifestazioni di preoccupazione e le valutazioni di impatto prodotte da soggetti sociali e da “terze parti” come università e think tank che stanno analizzando i possibili impatti del Ttip sull’assetto produttivo e la vita quotidiana in Europa e negli Usa.
La Commissione, in effetti, dopo aver negato per mesi che esistesse un problema trasparenza, alla fine si è costretta al “minimo sindacale”, cioè alla pubblicazione di un primo pacchetto di informazioni, ed è così che sembra voler tirare a campare alla vigilia del prossimo appuntamento negoziale. Dal 2 febbraio prossimo per una settimana, infatti, esperti e responsabili del ministero al Commercio Usa e della Commissione Commercio dell’Ue si incontreranno a Bruxelles dove presenteranno il pacchetto di deregulation che i nostri Stati e i loro si propongono reciprocamente, senza che ne’ i parlamenti nazionali, ne’ quello europeo, tantomeno noi cittadini, abbiamo la possibilità concreta di intervenire concretamente sui suoi contenuti.
Solo da un paio di mesi, infatti, i parlamentari europei, (solo pochi, quelli giudicati competenti rispetto al tema) possono accedere ai testi in elaborazione e solo in apposite “sale di lettura”, create all’interno del Parlamento, dove appositi addetti vigilano che non ne riproducano neanche un pezzettino, per studio o futuro approfondimento. Praticamente un’impresa da Pico della Mirandola, non certo da comune umano, nemmeno se esperto di negoziati commerciali, particolarmente criptici nella loro formulazione. Questi testi, poi – testimoniano i pochi eletti che vi hanno avuto accesso – sono presentati in bozze provvisorie che evolvono rapidamente, e privati degli allegati tecnici, che contengono quantità e percentuali, quindi la loro stessa chiave di lettura, perché ritenuti troppo “riservati” per poter essere condivisi fuori dal ristretto cerchio dei negoziatori. I parlamentari possono leggerli, ma non intervenire, ne’ emendare: possono solo fare domande alla Commissione, tenuta a rispondere, ma non a cambiare i testi stessi in base alle indicazioni ricevute.
I Governi d’Europa formalmente non vi hanno accesso, e debbono pietire dettagli informalmente, tanto per capire che cosa potrebbe succedere ai nostri affaticati Paesi. Gli eletti dei singoli Parlamenti dell’Unione neanche a parlarne: possono porre question time e interrogazioni ai suddetti Governi, e ricevere risposte evasive, ideologiche, spesso molto poco informate, dato il contesto. Questo è il rispetto che il negoziato in questione porta alle nostre democrazie costituzionali, al loro modo di costruire decisioni e orientamenti, leggi. Ma c’è di più, molto di più.
Il TTIP andrà a costruire due “paraistituzioni” transatlantiche. Il meccanismo per la regolazione delle dispute tra imprese e Stati (ISDS), veri e propri tribunali extragiudiziali dove le imprese, con la comodità della solita segretezza, saranno libere di citare in giudizio quegli Stati che avranno approvato regole, pur legittime, pur volute dalla maggioranza dei loro cittadini, senza neppure la scomodità di dover passare dai tribunali ordinari come debbono fare oggi. Verrà anche costituito un Consiglio per l’armonizzazione dei regolamenti (RCC) che su sollecitazione dei portatori d’interesse (non degli Stati, non degli eletti, non dei “cittadini semplici”) potrà intervenire per far funzionare allo stesso modo regolamenti diversi che costituiscano un ostacolo al commercio tra Stati Uniti e Usa.
Una previsione di sicurezza, ad esempio negli ambienti di lavoro, una clausola di qualità, un contratto di lavoro, un controllo in più alla dogana, mi costa più di quanto costi ad un produttore d’oltreoceano? Una legge blocca le mie esportazioni? Ne chiedo l’armonizzazione, come portatore d’interesse, e questo senza che un solo cittadino possa dire alcunché, visto che anche queste operazioni saranno svolte in via tecnica, ed affidate a cosiddetti “esperti”, fuori dal controllo democratico della legislazione ordinaria.
E’ questo che non va, prima di ogni altra cosa storta, nel TTIP: è una riforma costituzionale sotto mentite spoglie. Un attacco senza precedenti alla sovranità nazionale, ed a qualunque sovranità europea volessimo pure rafforzare in futuro. Un attacco subdolo, perché operato per via commerciale, per le ragioni del profitto che spesso ignorano la ragione stessa. E’ questo, prima di ogni cosa, il motivo buono e giusto per fermare il TTIP, per chiedervi, da parte delle oltre 300 organizzazioni e migliaia di cittadini che già sostengono in Italia la Campagna Stop TTIP, di attivarvi, di moltiplicare le iniziative di sensibilizzazione e informazione per respingere questo attacco e riaffermare il primato della partecipazione democratica e solidale.