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E’ necessario sostenere congiuntamente i sistemi formativi e di impresa, promuovendo la cooperazione e l’integrazione e  coniugando formazione e sviluppo dei sistemi professionali di settori innovativi. Per questo le istituzioni formative dovrebbero divenire centri territoriali di expertise settoriale a supporto dei sistemi professionali delle imprese

Si è obbligati a cominciare dalla disoccupazione giovanile, che non è una sola. La drastica riduzione del tasso di occupazione e l’enorme quantità di posti di lavoro persi nelle classi di età 25-34 dovrebbero preoccupare molto di più dei tassi di disoccupazione delle classi 15-24 anni. Gli ultimi, infatti, sono gli anni nei quali i giovani dovrebbero essere soprattutto in formazione.
E’ presumibile che una buona parte dei disoccupati più giovani dovrebbe essere ancora in formazione, di sicuro almeno quel 24% dei registrati alla Garanzia Giovani in possesso del solo diploma di scuola media o inferiore. Anche le rilevazioni OCSE confermano che i giovani italiani stanno a scuola meno anni di molti coetanei stranieri: nel 2012 i giovani italiani di 15/29 anni avevano un’aspettativa di 6,7anni di studio/formazione (6,2 nel 1999); gli anni dei Paesi OCSE erano 7,3 (6,2 nel 1999), quelli dei paesi EU 21 7,5 (6,4 nel 1999).

Secondo l’OCSE anche la partecipazione alla formazione terziaria,universitaria e non, in Italia è più bassa della media, il 47% di immatricolati di una classe di età (56% nel 2005), contro la media OCSE 76% e la media UE 21 70%. La differenza la fa non solo il calo delle immatricolazioni italiane, ma anche l’assenza di un sistema di formazione terziaria non universitaria. La Germania arriva al 75% (53% istruzione universitaria + 22% istruzione terziaria non universitaria. Sono da considerare anche i risultati: l’obiettivo italiano è il 26% di laureati nelle classi di età 30-34 anni per il 2020, mentre lo standard europeo, alla portata di molti altri Paesi, sarà il 40%.

Raggiungere le migliori medie internazionali di anni di frequenza formativa significherebbe già dimezzare la disoccupazione giovanile 15-24 anni. Raggiungerle soprattutto rafforzando ed estendendo la formazione professionale, in particolare nei percorsi più work-based e nelle funzioni di gestione della transizione scuola/lavoro, aiuterebbe anche a gestire meglio le criticità che seguono il passaggio dalla terza media al ciclo superiore; questo darebbe margini più ampi per recuperare l’abbandono scolastico e per migliorare quelle competenze di base per le quali i nostri quindicenni risultano ultimi nelle rilevazioni OCSE.

D’altra parte siamo tra i pochissimi Paesi europei ad avere solo 8 anni di istruzione generale comune, contro i 9 o 10 anni degli altri Paesi (in Germania l’età media di accesso alla formazione professionale in sistema duale è superiore a 19 anni).
Per tutte queste ragioni c’è bisogno di una forte formazione professionale integrata sia nel sistema formativo generale sia nei settori economici, anche luogo di educazione e di istruzione generale e di esperienza professionale, strumento di gestione della transizione scuola/lavoro.

Il primo passo è rilanciare e rafforzare l’IeFP, presente solo nelle Regioni del Nord nella versione originale, mentre altrove è gestito quasi solo in forma scolastica dagli Istituti Professionali. In generale l’Istruzione Professionale deve essere ristrutturata, assimilandone una parte all’Istruzione Tecnica, di cui oggi è cugina povera, e integrando il resto in un nuovo sistema di formazione professionale cogestito da Stato e Regioni. I percorsi IeFP devono potersi sviluppare fino alla maturità professionale, come già previsto a Bolzano e integrare maggiori elementi di sistema duale.

Urge introdurre una strutturata, diffusa e stabile offerta formativa terziaria non universitaria, biennale, in forma duale, estendendo a un pubblico ben più vasto e con modalità organizzative più fluide l’attuale limitata esperienza degli ITS.

Infine c’è bisogno di istituire una sorta di master professionale di specializzazione e/o riqualificazione per rafforzare o riorientare le carriere professionali di giovani adulti occupati e disoccupati (si pensi soprattutto ai giovani senza lavoro delle classi di età fino a 34 anni.

Non si dice niente di particolarmente nuovo; bisogna solo decidere di dotare il nostro Paese della formazione professionale di cui ha bisogno per essere competitivo, a costi inferiori di quanto si paga la sua assenza. Al riguardo si tratta anche di equilibrare gli investimenti tra misure occupazionali (servizi per il lavoro, incentivi all’assunzione) e formazione, oggi squilibrati a favore delle prime, a causa della sottovalutazione della qualificazione professionale come chiave di accesso all’impiego. L’esperienza di altri Paesi, soprattutto quella del sistema duale, sembra dimostrare che la formazione professionale è il miglior collocatore; basti pensare alla Germania, dove due terzi degli allievi vengono assunti dopo la qualifica dall’impresa che li ha ospitati in formazione.

Alla fine la formazione deve fare i conti con le imprese, poiché decisivo è il rapporto virtuoso tra formazione e processi di innovazione nelle imprese. In Italia la formazione ha a che fare con un sistema caratterizzato dalla assoluta prevalenza di micro imprese, modello tendenzialmente poco propenso all’innovazione e alla formazione. Inoltre l’elevata quota di settori a medio-bassa tecnologia è nel contempo causa ed effetto di criticità quali accumulazione di capitale umano inadeguata ai bisogni di una moderna economia competitiva, segmentazione del mercato del lavoro e strutturale debolezza del sistema di istruzione e formazione.
E’ evidente l’esigenza di sostenere congiuntamente i sistemi formativi e di impresa, di promuoverne la cooperazione e l’integrazione e di coniugare formazione, sviluppo dei sistemi professionali di settori/imprese innovazione. Per questo le istituzioni formative dovrebbero divenire anche centri territoriali di expertise settoriale a supporto dei sistemi professionali delle micro imprese e dell’innovazione, sul modello delle strutture formative sovra-aziendali alle quali fa capo parte della formazione in sistema duale nelle piccole imprese.
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