Così Caterina Rosa descrive il sospetto comportamento del commissario di sanità Guglielmo Piazza durante la peste di Milano del 1630, come raccontato da Alessandro Manzoni nella sua splendida (e quanto mai attuale) Storia della Colonna Infame. A nulla servirà al povero Piazza proclamare di non essere un ‘untore’ e che la cagione del suo comportamento era quella di censire, scrivendo su un taccuino, le case abbandonate a causa dell’epidemia; egli verrà giustiziato per placare l’ira della folla che aveva bisogno di un ‘colpevole’ a tutti i costi per la tragedia che stava vivendo.
Il racconto di Manzoni viene opportunamente richiamato (e ringrazio il mio amico Lorenzo Farina per avermela segnalata) in una sconvolgente ricostruzione, apparsa qualche tempo fa su Il Foglio, del caso della malattia degli ulivi che ha colpito la Puglia. Il commentatore ci fa notare un aspetto molto preoccupante che accomuna il caso della peste del Seicento e la Xylella degli ulivi: in entrambi i casi la parte che dovrebbe essere la più accorta e saggia della popolazione sposa la “pazza paura d’un attentato chimerico”.
Gli ingredienti dell’infernale miscuglio che obnubila la ragione sono a mio parere ascrivibili a due cause primarie che si fondono in una terza ‘causa composta’. Questa malefica struttura la vediamo ahimè in opera di continuo (non solo nel caso Xylella), ma ovunque si cristallizzi qualcosa che chiamiamo ‘opinione pubblica’. Le due cause primarie sono a mio parere:
1. ‘Reductio ad maleficium’. Per ogni problema ci deve essere un colpevole, ogni evento è materiale per ‘una indagine della magistratura’ che, come invariabilmente sentiamo nella descrizione di ogni caso di cronaca, ‘apre una procedura’. Questa sproporzione del punto di vista giuridico su ogni altra forma di pensiero umano è la sciagurata conseguenza della nostra incapacità di concepire una Natura che possa essere ‘data’ e da noi non modificabile a piacimento. Cavoli, siamo capaci di ‘fare tutto’, se qualcosa va storto, fuori ‘il colpevole’, l’untore, qualcuno che ‘fa il male’ il ‘maleficium’ appunto.
2. L’allargamento indebito della democrazia. Una delle tante eresie del XIX secolo fu l’identificazione dell’opinione della maggioranza con la verità (da noi quello sciagurato di Mazzini coniò il motto ‘Vox Populi, Vox Dei’). Ora, mentre non c’è dubbio che esista una ‘saggezza di fondo del senso comune’ concausa della stessa sopravvivenza a lungo termine della specie umana, è altrettanto chiaro che non ci sentiremmo per nulla contenti di sapere che la decisione sull’opportunità di sottoporsi a un intervento a cuore aperto fosse democraticamente delegata dal cardiochirurgo a una votazione aperta a tutti i dipendenti dell’ospedale o magari a tutti gli abitanti della circoscrizione. Ci piace pensare che il cardiochirurgo sia un ‘esperto’ a cui rimettere la decisione, siamo usi chiamare questo atteggiamento ‘fiducia nell’esperienza altrui’, atteggiamento anche esso cruciale per la sopravvivenza della specie.
Mescolate la democratizzazione del sapere causata da Internet che ha reso la signora Ines (nome di fantasia) una autorità nel campo della cardiochirurgia (causa 2) con il bombardamento mediatico sulle continue malversazioni degli ‘esperti’ e di supposte ‘elite’ (causa 1) e ottenete la ‘causa composta’.
3. Qualsiasi manipolatore della opinione pubblica può far ‘emozionare’ il pubblico e fargli sostenere qualsiasi baggianata, con il consenso delle persone ‘più accorte e pensose’ (cresciute da circa trecento anni con la convinzione di dover fungere da ‘coscienza critica’ di una nazione di idioti) e con la progressiva svalutazione di qualsiasi sapere scientifico e tecnico che si rifiuti di fare da ‘araldo del progresso’ preferendo limitarsi allo studio faticoso ma alla lunga fruttuoso della realtà (e quindi giustamente pretendendo fiducia e rispetto).
La soluzione a questo guaio? Mi piace pensare si trovi nella naturale attrazione che è sempre esistita tra persone veramente semplici siano esse semplici per natura o per studio, insomma servono più contadini e veri scienziati e meno avidi divoratori di ‘news’. Ce la facciamo?