Dunque «più grande è più bello» non è sempre vero?
Certo, e poi c’è il problema che oggi far credito è un’attività a basso rendimento e ad alto rischio e dunque è un’attività che per natura non conveniente per banche orientate alla creazione di valore per l’azionista o a massimizzare il valore per l’azionista; la trasformazione in Spa va inevitabilmente in questa direzione».
E se, al di là del territorio, ci mettessimo dal punto di vista della banca e volessimo individuare un vantaggio a rimanere una realtà autonoma?
C’è indubbiamente la questione della specializzazione funzionale. Faccio un esempio: proprio quando ci fu il passaggio delle casse di risparmio da banche mutualistiche e banche Spa, le Casse rurali trentine mantennero il proprio aspetto mutualistico, conquistando una quota molto alta degli impieghi alla clientela locale. Quindi può esserci anche un’opportunità strategica, nel senso che restare l’unica, se non una delle poche, banche mutualistiche del territorio, può diventare una posizione di forte vantaggio, piuttosto che andare a competere su altri segmenti e con altre clientele con le già tante banche di grandi dimensioni che hanno sportelli sul territorio locale. Al contempo però sarebbe bene – ed è importante per tutte le banche che restano capitarie – fare tutto quello che serve per aumentare quella che è la trasparenza, l’accountability ai soci. Ovviare dunque a tutti quei difetti che sono stati ravvisati, e non a torto, dall’opinione pubblica nel modello della "Popolare". Quindi l’istituto popolare che vuole restare tale, oggi ha una vocazione importante e specifica, ma deve saper rispondere a tutte quelle critiche che sono state fatte.
Ad esempio?
Si è detto che il voto capitario è stato l’occasione, per alcuni gruppi, di mantenere a lungo un potere e, di fatto, sottrarsi al controllo dei soci. Fermo restando che questo argomento è stato usato in maniera esagerata – perché è sotto gli occhi di tutti il fatto che ci sono banche spa che hanno dei gruppi di controllo che sono inamovibili da decine e decine di anni -, quello che è importante è che la governance delle banche a voto capitario funzioni, quindi che ci sia un ricambio nella classe dirigente e la maggior partecipazione possibile dei soci nelle assemblee e la trasparenza più alta possibile nei meccanismi di voto e di decisione.
Qui però entra in gioco anche la responsabilità dei soci e del territorio…
Certo, è chiaro che certe volte si accusa l’organizzazione di essere poco democratica, ma spesso il problema della democrazia è un problema da due lati. Se un territorio è passivo, non risponde e, ormai, la partecipazione è un ricordo del passato, è chiaro che la scarsa democraticità è proprio dei cittadini che hanno perso lo spirito originario.
Restando su questo frangente, durante la sua lectio magistralis lei ha detto più volte che «si vota con il portafoglio e col mouse», cioè sono le scelte consapevoli dei cittadini nei propri consumi, e dunque anche nella scelta di una banca a influire sulle decisioni delle aziende stesse e sul futuro di un territorio. Vale anche in questo caso?
Come "Economia civile" speriamo in un mondo – che pian piano si sta costruendo – in cui i cittadini hanno sempre più strumenti di informazione e di conoscenza, in grado di dare loro notizie sulla sostenibilità sociale ed ambientale delle aziende, sull’impegno per il territorio. E proprio sulla base di questo impegno i cittadini si dovrebbero comportare di conseguenza, sapendo che le proprie scelte di consumo e di risparmio possono poi influenzare in maniera molto importante il comportamento delle imprese. Questo è un mondo, o meglio un mercato partecipato e democratico, che funziona e quindi i momenti decisivi sono questi di cui stiamo parlando ora: le assemblee in cui si devono prendere decisioni ed operare scelte decisive per la banca, e per il territorio. Quindi l’auspicio è che sempre di più la società civile si renda attiva e protagonista e impari ad usare questi strumenti di partecipazione, cosa che appunto come Economia civile stiamo cercando di fare, diffondendo tutta una serie di iniziative da slotmob a NeXt, ai vari strumenti e classifiche di rating socio-ambientale che consentono ai cittadini di votare con il portafoglio, informati.
La Banca di Cividale ha vinto il «Premio innovazione dell’Abi» per il progetto di crowdfunding che sostiene le realtà associative del territorio. Lei ha più volte indicato come anche la forza del terzo settore sia un indicatore importante nella definizione del benessere di una comunità. La sinergia tra banche e questo mondo è da considerarsi ancora una volta un valore aggiunto per il territorio?
È un aspetto molto importante, ma anche qui diciamo che per servire organizzazioni di terzo settore – che spesso hanno piccoli progetti e sicuramente progetti non da rendimenti stratosferici – c’è bisogno di una banca che abbia una vocazione alla responsabilità sociale ed ambientale. Non solo, sappiamo che paradossalmente – il caso di Banca popolare etica è molto interessante – quando si serve questo tipo di economia c’è anche il vantaggio di avere una percentuale di sofferenze molto più bassa e anche le banche grandi, quando hanno scorporato la parte che si occupa di prestiti al terzo settore, hanno osservato che la percentuale di crediti inesigibili si è di molto ridotta. Ci sono poi vantaggi nel prestare a questo tipo di economia, ma ovviamente bisogna avere quella vocazione specifica e non solo una tensione alla massimizzazione del profitto. Senza quella vocazione territoriale è difficile avere il desiderio di finanziare imprese sociali.