Un ambito poco analizzato ma significativo perché coinvolge i soggetti nella dimensione della vita quotidiana e, direi, la più personale è quello vissuto dentro le mura domestiche della famiglia “mista”, cioè in quella dove uno dei due coniugi appartiene ad una nazionalità e/o religione diversa da quella maggioritaria in Italia. Se il pluralismo religioso è conosciuto e la dimensione inter-religiosa incomincia a percorrere i primi passi verso il dialogo interreligioso, la dimensione soggettiva, sebbene vissuta in un’istituzione civile, qual è la famiglia, non emerge sul piano pubblico ed è sconosciuta alla maggior parte dei promotori sociali, culturali e religiosi. Eppure le famiglie nate da coniugi “plurali”, sono una realtà con la quale bisogna confrontarsi. I dati Istat chiamano “matrimoni misti”, quelli civili tra coppie che appartengono a nazionalità diverse, soffermandosi sulla nazione di appartenenza dei coniugi.
Ma, quanti sono nel nostro Paese i matrimoni “misti”, quelli cioè celebrati con rito religioso da persone che hanno voluto sposare all’interno della propria chiesa una persona di altra confessione o religione, scegliendo di mantenere ciascuno la propria appartenenza?
In questa sede, per rispondere alla domanda, si farà riferimento ai dati che provengono dalle fonti più sicure e meno conosciute, cioè a quelli forniti dalle diocesi italiane che conoscono la situazione completa dei matrimoni religiosi celebrati. A loro infatti si rivolgono gli aspiranti sposi cattolici per chiedere la dispensa o la licenza di contrarre matrimonio con un/a sposo/a di altra confessione/religione e sono perciò le uniche a conoscere la reale situazione.
Nel primo decennio del nuovo millennio (1999-2008) le richieste di dispenze e licenze per matrimoni misti sono state 10.858 matrimoni misti, di cui 6401 (59%) nell’ambito della stessa confessione cristiana, 839 (8%) tra religioni diverse e 3618 (33%) con altri (non credenti, diversamente credenti, non battezzati, ecc). La tipologia indicata riflette la composizione etnica e religiosa della popolazione immigrata in Italia, sebbene non completamente. A parte il picco della città di Roma, i matrimoni i “interconfessionali”, “interreligiosi” e “altri” si concentrano nelle città del Nord e del Centro, dove, come noto, risiede un maggior numero di popolazione immigrata, sebbene il fenomeno riguardi anche i nativi italiani. Senza entrare nello specifico di un’analisi più approfondita,che non è possibile in questa sede, occorre evidenziare che il trend del fenomeno è in ascesa e produrrà cambiamenti nella struttura e nei comportamenti della famiglia italiana “mista”. Sono (e saranno) maggioritari i matrimoni interconfessionali con ortodosse/i e quelli interreligiosi con musulmane/i e appartenenti a religioni orientali asiatiche.
I diversi “scenari” che si prospettano per il futuro prossimo ci inducono a pensare che la prima forma di arricchimento reciproco non può prescindere da quella vissuta in quella che possiamo definire la “famiglia religiosamente plurale”, “interreligiosa” e “interconfessionale”. La famiglia, è sempre un luogo di dialogo per le relazioni che si instaurano tra le persone, ma, a maggior ragione, lo è quella al cui interno sono presenti fedi diverse; è una famiglia “speciale” e “privilegiata”.
Per concludere, (o per cominciare), la famiglia religiosamente “plurale” può realizzare la forma più completa di integrazione e di dialogo perché inizia tale processo dalla base, fin dall’inizio, si colloca alla radice della società e indica la strada per un cambiamento culturale e religioso del tutto inedito nel panorama italiano.