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Il Porcellum ha sempre goduto di pessima stampa, ma ha resistito e probabilmente ha bloccato lo sviluppo del nostro Paese. Ma la sentenza del 4 dicembre 2013 della Corte Costituzionale ha finalmente segnato l’inizio della fine. Il Porcellum è stato approvato con una legge del 21 dicembre 2005. Sono passati esattamente otto anni, eppure era ancora lì. Inamovibile. E dire […]

Il Porcellum ha sempre goduto di pessima stampa, ma ha resistito e probabilmente ha bloccato lo sviluppo del nostro Paese. Ma la sentenza del 4 dicembre 2013 della Corte Costituzionale ha finalmente segnato l’inizio della fine.

Il Porcellum è stato approvato con una legge del 21 dicembre 2005. Sono passati esattamente otto anni, eppure era ancora lì. Inamovibile. E dire che è più volte cambiato il Presidente del consiglio, che il Parlamento si è più volte rinnovato, che perfino il Papa non è più quello di prima: niente da fare, lui era lì. Il Porcellum garantiva un’insperata stabilità, sia di sé medesimo sia di una parte della nostra classe dirigente. Ma allora, a fronte di queste piccole evidenze, ci è venuto qualche ragionevole dubbio.

Il primo: e se il Porcellum fosse funzionale ad un modello di gestione della politica o ad un’altra visione della rappresentanza politica? L’articolo di Stefano Semplici ci provoca attraverso un’idea che merita di essere discussa, perché l’Italia sembra in difficoltà ad assumersi fino in fondo la responsabilità che il modello democratico richiede. Ma c’è anche un secondo dubbio: e se il Porcellum fosse il risultato di paure condivise da tutte le forze politiche? L’articolo di Francesco Clementi ci parla esattamente di questa fase cloud, dove prevale l’idea del rischio, di una tale incertezza da impedire di scegliere, pur in un periodo in cui di scelte precise ci sarebbe bisogno. Insomma, sembra che il Porcellum abbia messo bene in luce il nostro deficit democratico, perché la democrazia richiede l’assunzione sia di responsabilità sia di rischi per i partiti politici. Il Porcellum è un modo per non scegliere fino in fondo: ben lo esprime la riflessione di Maria Grazia Rodomonte che, con praticità, misura questa legge elettorale attraverso un tema sempre trattato e mai tradotto fino in fondo in realtà, ovvero le pari opportunità. Insomma i lati negativi non mancano: il testo di Marco Olivetti sintetizza con chiarezza gli elementi-chiave di questa legge e gli elementi che destano più perplessità. È un’ottima bussola per orientarci verso ciò che inizia a prospettarsi davanti a noi.

Di alternative ce ne sono: abbiamo selezionato In rete una rassegna di testi per analizzare e approfondire. Lo ribadiamo: scegliere la giusta legge elettorale significa assumere più pienamente sia la responsabilità democratica sia i rischi che il mestiere democratico comporta. Insomma, si tratta di combattere l’idea che la politica sia mangiare, ingurgitare costine di potere o qualche lombo di privilegio col conto pagato dai fondi pubblici. Abbiamo un’idea più dietetica della politica, più rispettosa. Quell’idea che nutre la democrazia.

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