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Le mafie rappresentano una realtà complessa ma non invincibile. Se si conoscono in profondità le sue dinamiche organizzative, è possibile scoprirne i punti deboli e trovare strategie adeguate per debellarla…

Le mafie rappresentano una realtà complessa ma non invincibile; se si conoscono in profondità le sue dinamiche organizzative, è possibile scoprirne i punti deboli e trovare strategie adeguate per debellarla.

ll titolo del libro “Il Mondo di Mezzo”, che riprende un’espressione trovata in un’intercettazione dell’inchiesta “Mafia Capitale”, indica lo spazio in cui avvengono collusioni tra colletti bianchi e ambienti malavitosi.

Nel sottotitolo “Mafie e Antimafie” il ricorso al plurale evidenzia il fatto che entrambi gli universi presentano un aspetto estremamente variegato. Il fenomeno della criminalità organizzata non rappresenta più un’unità monolitica; oggi esistono “le mafie”, ognuna di esse legata da interessi economici deviati ed eversivi ad una matrice originaria comune; tuttavia ciascuna di esse presenta specificità e peculiarità proprie, come Cosa nostra, la ‘Ndrangheta, la Camorra, i Cursoti, la Stidda, fino ad arrivare a nuove entità come Mafia Capitale. Vengono considerate inoltre le mafie replicanti, quelle sommerse e quelle silenti.

Anche l’antimafia costituisce una realtà complessa: esistono infatti un’antimafia istituzionale, una sociale e un’altra ipocrita e falsa, costituita da personaggi che operano nel “mondo di mezzo”, i quali mantengono legami con il sodalizio mafioso e contemporaneamente aderiscono ad associazioni antimafie.

L’autore all’inizio del libro delinea i tratti distintivi e caratterizzanti di un’organizzazione di stampo mafioso, facendo riferimento agli studi di organizzazione aziendale di Henry Mintzberg, che distingue cinque tipologie di “configurazioni organizzative” sulla base di vari criteri, tra i quali la modalità di coordinamento delle attività dei componenti.

Nella “struttura semplice” ci si avvale della supervisione diretta da parte del vertice. Nella “burocrazia meccanica” invece, si tende a standardizzare le mansioni, segmentando i processi produttivi e attribuendo funzioni predefinite e ripetitive ai vari partecipanti, cosa che rende questi ultimi facilmente sostituibili. Un’associazione mafiosa, invece, va qualificata come una “burocrazia” o “un’organizzazione professionale” (esempi di organizzazioni professionali sono gli ospedali, le scuole e le università).

I tratti distintivi e caratterizzanti di un’organizzazione di stampo mafioso sono la durata nel tempo e il “metodo mafioso”, cioè il ricorso sistematico all’intimidazione che presuppone il controllo sul territorio. L’attività che caratterizza le associazioni di stampo mafioso è l’esercizio dell’estorsione. Le mafie sono associazioni professionali che hanno come elemento cruciale i professionisti, formati attraverso un curriculum criminale; se questi vengono meno, non è possibile rimpiazzarli con altre personalità del loro stesso calibro.

Vengono esaminate le mafie che operano in territori diversi da quelli in cui sono radicate e in particolare i casi del Lazio e di Roma Capitale.
L’analisi si sofferma poi sulla politica antimafia italiana che oggi ha assunto un approccio non più reattivo, ma piuttosto proattivo. Essa si avvale di strumenti indiretti, finalizzati a scoprire e punire le condotte dei mafiosi, colpendo sia le persone che i loro averi, e strumenti indiretti che hanno la finalità di promuovere una consapevolezza e un cambiamento di atteggiamento in coloro che non appartengono alla categoria dei mafiosi.

Dopo aver parlato dei capisaldi del sistema antimafia e dell’applicabilità dell’art. 416-bis del Codice Penale alle neoformazioni mafiose, l’autore descrive la situazione attuale di Cosa nostra, della Camorra, della ‘Ndrangheta, delle associazioni di stampo mafioso pugliesi e lucane e ne coglie le differenze.

Si analizzano poi i rapporti tra mafia e corruzione, evidenziando ciò che accomuna e ciò che distingue i due fenomeni.
La dimensione economica delle mafie è considerata un aspetto molto importante, perciò vengono riportati i dati oggi disponibili grazie al materiale derivato dalle intercettazioni, dalle risultanze investigative e dai processi giudiziari.

Un capitolo del libro è interamente dedicato ai rapporti tra la mafia e la Chiesa cattolica. Premessa l’assoluta inconciliabilità tra i comportamenti del mafioso, caratterizzati sempre da violenza e prevaricazione (anche nella mafia tradizionale), e i principi cristiani, l’autore distingue tre periodi nell’atteggiamento della Chiesa nei confronti della mafia, riprendendo la periodizzazione operata da Cataldo Naro: il silenzio, la parola e il grido.

La Chiesa in un primo momento non volle vedere; in alcuni casi accettò una silenziosa collaborazione con la mafia per motivi riguardanti il denaro, il potere e la politica; era preoccupata infatti dell’avanzata del comunismo. Non mancò però nel suo ambito chi si oppose. Nella seconda fase riconobbe ufficialmente l’esistenza della mafia e cominciò a condannarla in modo sempre più severo, fino a ricorrere alla scomunica latae sententiae. Infine Papa Giovanni Paolo II affermò l’assoluta incompatibiltà tra cristianesimo e fenomeno mafioso.

Il discorso si sofferma poi sull’efficacia sempre maggiore della politica antimafia dell’apparato statale italiano. Si riconosce inoltre il ruolo decisivo svolto dall’antimafia sociale che, a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, non è più limitata all’azione individuale, ma è costituita da una pluralità di associazioni. Particolare attenzione viene rivolta all’antimafia sfruttata opportunisticamente da qualcuno come occasione di guadagno e di carriera.

Nelle conclusioni l’autore rivolge lo sguardo alla realtà del Mezzogiorno, caratterizzata da un intreccio di povertà, disoccupazione, inefficienza dei servizi, clientelismo e scarsa tutela dei beni pubblici; in questo contesto, la mafia prende il posto dello Stato nel rispondere alle esigenze riguardanti l’ordine pubblico, il lavoro e il welfare.

E’ necessario quindi che la lotta alla criminalità organizzata si avvalga anche della programmazione e realizzazione di misure dirette allo sviluppo economico e produttivo nonché di interventi strutturali nel campo del sociale e del welfare.

Antonio La Spina, Il mondo di mezzo. Mafie e antimafie, Il Mulino, Bologna 2016.

Citazioni

“In tal modo si spera che diminuiscano drasticamente gli atteggiamenti acquiescenti o conniventi, come quelli di coloro che subiscono il pizzo o altre distorsioni della libertà economica, che accettano indicazioni di voto, che consentono o tollerano infiltrazioni nei processi decisionali politico-amministrativi, nelle organizzazioni di interesse, nella vita religiosa e civile. La metafora che si può evocare a riguardo è questa: gli strumenti diretti mirano a catturare i pesci-mafiosi e i loro averi, nonché a reprimerne i crimini; quelli indiretti, invece, a prosciugare l’acqua in cui tali pesci sguazzano” (pag. 28).

“Se un terreno o una villa appartenuta a un noto boss diventa una scuola o un posto di polizia, è evidente che ciò attesta molto meglio di qualunque proclama il ripristino della legalità. Se un’azienda sottratta alla mafia sopravvive e continua a garantire redditività e lavoro, anche questa è la smentita migliore della pretesa secondo cui con la mafia si campa, ma con lo stato no” (pag. 31).

“D’altro canto, è lampante l’assoluta inconciliabilità tra la condotta del mafioso – fatta di violenza e comunque, anche quando questa non viene fisicamente usata, di prevaricazione – e il verbo cristiano, che invece comanda non solo il rispetto della persona e dei diritti umani, ma anche l’amore verso il prossimo. Sorge allora una domanda spontanea: come è stato mai possibile che i mafiosi si siano normalmente illusi di essere dei cattolici, o comunque – prescindendo da ciò che veramente pensavano e sentivano nel loro intimo – abbiano ritenuto di poter essere accettati come tali?” (pag. 136).

“E’ possibile che tra i cattolici (non solo tra gli appartenenti al clero) i don Abbondio siano di più e i fra’ Cristoforo di meno. Ma se anche così fosse, ciò non significherebbe ancora che l’ecclesia come tale non contrasta la mafia o peggio la sostiene. La Chiesa è fatta di esseri umani fallibili i quali, da San Pietro in avanti, possono non essere sempre tanto coraggiosi quanto da loro si vorrebbe. Essere conniventi, compiacenti o favorevoli è ben altra cosa.
(…) E’ plausibile che certi soggetti più anziani e più radicati in certi territori talora continuino a pensarla come quando erano in più verde età, e perciò abbiano verso i mafiosi una disposizione diciamo più conciliante. Ma è altrettanto plausibile che soggetti più giovani, socializzati nella fase storica della parola ovvero del grido, siano più frequentemente e stabilmente orientati a prenderne le distanze” (pag.151).

“Eppure, continua a circolare la convinzione secondo cui le mafie sono onnipotenti e ricchissime, capaci di trasformarsi, spostarsi, continuare a vincere. Fino a qualche anno fa anche certe disfatte patite da Cosa nostra venivano in sostanza spesso minimizzate. Nonostante tutto, secondo un certo cliché la mafia è comunque invincibile, perché se qualcuno viene catturato ciò vuol dire che in effetti costui è caduto in disgrazia, perché lo stato è troppo debole oppure colluso, e così via. Sembra quindi profondamente radicato uno stereotipo (che viene anche trasmesso da una generazione all’altra), consolidatosi svariati anni addietro, impermeabile ai sempre più frequenti fatti nuovi che lo contraddicono” (pag. 169).

“Spesso chi si è contrapposto alle mafie e al malaffare come attore della società civile lo ha fatto, spinto da una “razionalità rispetto al valore”, sapendo di compiere una scelta difficile, rischiosissima e non condivisa da gran parte di coloro che appartenevano al suo stesso gruppo di riferimento” (pp. 169-170).

“La lotta contro la mafia – lo abbiamo detto e scritto anche in altre occasioni, e non crediamo di affermare qualcosa di particolarmente originale – è per molti versi una guerra. In guerra ci sono anche gli imboscati, gli affaristi che si arricchiscono alle spalle di chi invece è mosso da spirito civico e patriottico, le spie, i doppiogiochisti, gli infiltrati, i traditori, tutti soggetti che vanno individuati e messi, tramite le contromisure di volta in volta appropriate, in condizione di non nuocere. Se invece le mele marce riuscissero non solo a salvare sé stesse o la propria sedia, ma anche a fare strada, il fronte unitario della vera antimafia, nella cui compattezza sperano le persone di buona volontà, ne soffrirebbe e forse si incrinerebbe” (pag. 180).

“Possono esservi vari modi – alcuni dei quali già sono in parte operanti – per favorire la decisione di opporsi ai mafiosi e al contempo disincentivare gli atteggiamenti acquiescenti senza far ricorso alla sanzione penale (a meno che la reticenza non sfoci nel favoreggiamento): il consumo critico; la predisposizione di forme di tutoraggio e assistenza psicologica, legale, aziendalistica; il disfavore, nelle gare d’appalto o nell’attribuzione di finanziamenti pubblici, verso le imprese che non abbiano denunciato il racket, avvantaggiando così indirettamente quelle che lo hanno fatto; le sanzioni reputazionali in organismi quali Confindustria, Confcommercio, e così via; le sanzioni deontologiche, disciplinari o anch’esse reputazionali da parte di ordini o associazioni professionali; eventuali forme di premialità diretta” (pp. 191-192).

“In conclusione, ho mostrato che, diversamente dallo stereotipo che le vuole simili a Idre invincibili, le mafie hanno punti deboli non da poco e stanno subendo l’urto non di rado devastante della politica antimafia italiana, che al momento è forse la più articolata e incisiva al mondo. Da ciò però non segue che ora si possa abbassare la guardia e cullarsi sugli allori. Al contrario, proprio perché il nemico, pur risultando talora indebolito, è ancora – come si è visto – potentissimo e pericoloso (anche per le sue ramificazioni e i suoi rapporti transnazionali), è non solo giusto ma anche efficiente moltiplicare gli sforzi, assestando un colpo dietro l’altro, senza soluzione di continuità, fino al suo annientamento definitivo, che non è certo dietro l’angolo” (pag. 205).

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