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Il volume ripercorre le vicende della filosofia morale per proporre un personalismo critico, che tenga conto della complessità della persona, della sua esigenza di vivere in mezzo agli altri e di poterlo fare bene…

Roberto Mordacci è Preside della Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, dove insegna Filosofia morale e Filosofia della Storia. Il volume ripercorre le vicende della filosofia morale per proporre un personalismo critico, che tiene conto della complessità della persona, ma soprattutto la sua esigenza di vivere in mezzo agli altri e di poterlo fare bene.

L’autore esplicita il suo piano dell’opera dicendo: «L’ordine che mi si è spontaneamente proposto è quello di una progressiva elaborazione di livelli costitutivi della vita personale, nei quali la mia attenzione è stata costantemente fissa sul loro significato anzitutto pratico: è nell’azione che viviamo ed è nell’azione che costruiamo la nostra individualità personale» (p. 8). Questo riferimento all’azione è centrale nella riflessione di Mordacci, che riprende ed approfondisce un filone sempre presente nella storia della filosofia.

Il tono dello scritto è piacevole pur affrontando temi affatto semplici, come l’origine del sentire morale, il suo sviluppo e la sua concettualizzazione, nonché la sua pratica e praticabilità.
La tesi proposta è la seguente: il rispetto di se e degli altri come fondamento della morale, è praticata anche nello scritto, poiché l’intenzione è proprio quella di aiutare chi legge a sviluppare un pensiero critico su di sé e sugli altri fondato sul rispetto-stima, così da poter agire in modo buono e giusto.

Il primo capitolo vuole delineare e circoscrivere cosa sia la riflessione morale: una pratica che cerca di dare un nome al nostro sentire confuso riguardo a cosa siano il bene e il giusto, ed è in tensione tra il pensiero riflessivo e la vita concretamente vissuta.

Il secondo capitolo sviluppa il concetto di individualizzazione, proponendo una riforma del personalismo di Mounier. L’autore ripercorre i diversi aspetti della persona: corpo, sentire, relazioni, emozioni, sentimenti, immaginazione, memoria, volere, pensiero razionale, mostrandone gli intrecci e i significati principali. Il volere è un’attività che tiene insieme e distingue, allo stesso tempo, desiderio, pensiero e volontà.

Il terzo capitolo è una fenomenologia del sentire in tutte le sue sfaccettature, poiché la morale inizia dal sentire, vero, ma ne è la critica, nel senso di una disanima dei suoi processi, fin dove è possibile scrutarli.

Il quarto capitolo si addentra nella questione centrale: il rapporto tra desiderare e volere. L’autore riprende le riflessioni di Aristotele e di Kant per fare un passo avanti e proporre la sua tesi riguardo al volere e all’agire: «Non è il criterio dell’obbedire. E’ invece il criterio dell’autonomia del volere, quello che potremmo formulare così: agisci in modo da non entrare in contraddizione con la tua libertà del volere, oppure agisci in modo da restare sempre libero» (p. 127)

Rispetto all’idea che possano essere i seguenti principi a fondamento della morale: utilità, il rispetto della vita, essere virtuosi, Mordacci ritiene che sia necessario trovare un criterio che sia interno alla volontà stessa: «Il che vuol dire che dovrà trattarsi di un criterio formale, che non indichi alcun “bene” come oggettivamente da farsi, bensì indichi, più precisamente un modo del volere che possa rapportarsi a qualunque bene si presenti al desiderio in modo da metterlo alla prova del volere stesso […] Il criterio, in altri termini, dovrà essere pratico, razionale e formale. Un criterio del genere può essere solo fornito dalla ragion pratica, vale a dire da quell’uso della facoltà razionale che è interno alla prassi, che è appunto agire riflessivo e non “obbedienza alla ragione”, specialmente a una ragione che conosce in modo avulso dal volere» (p. 130).

E’ il criterio di voler essere sempre libero, che custodisce la nostra peculiare umanità, dignità e rispetto, di tutti e di ciascuno. Occorre quindi comprendere e valutare per quali beni vale la pena di vivere, e questa è la scelta morale di fondo che si concretizza nella scelte piccole e grandi della quotidianità.

Il quinto capitolo affronta la questione se il volere può essere veramente libero, fatto che buona parte della riflessione moderna, segnata dal determinismo scientifico, nega in radice. La disamina del problema porta Mordacci ad affermare che «non si tratta di pensare in modo non contraddittorio, bensì di volere in quel modo, cioè in maniera tale da non entrare in contraddizione con se stessi, con le proprie energie psichiche non meno che con il proprio pensiero critico e con la propria persona (la storia, le relazioni, le aspirazioni) nell’insieme» (pp. 159-160)

Il sesto capitolo riflette sul passaggio dall’imperativo categorico di Kant alla dimensione del rispettarsi quali persone libere e capaci di volersi e volere bene, tema affrontato dall’autore in un precedente libro (Rispetto, Cortina 2012). La proposta di Mordacci è che il rispetto della libertà propria e altrui, il rispetto-stima, è il fondamento vero dell’agire morale.

Il settimo capitolo si apre alla speranza, poiché il processo storico non è determinato dalla natura delle cose, ma è costruito dall’incontro delle libertà personali. Nessuno conosce il futuro, ma tutti possiamo sperare che lo possiamo costruire bene se ci rispettiamo.

Roberto Mordacci, L’etica è per le persone, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2015.

Citazioni
“Vi è una lunghissima tradizione che intende la filosofia (la filosofia tout court, non solo quella morale), come una riflessione eminentemente pratica, vale a dire come uno stile di vita e una pratica riflessiva, grazie alla quale il filosofo mira ad essere qualcuno e non anzitutto o soltanto a pensare o a sapere qualcosa” (p. 14).

“Giocando su questa etimologia [ethos come dimora], potremmo spingerci a definire la vita morale come la consuetudine che rende parzialmente stabile il divenire. In un certo senso, potremmo addirittura dire che l’essere, nel senso di ciò che permane, non è per nulla un dato, bensì è un compito etico: non c’è nulla di propriamente umano nel mondo fino a quando non lo facciamo esistere con l’azione, e per noi quest’ultima è tutto ciò di cui possiamo fare veramente esperienza. L’essere che ci è dato di conoscere veramente è quello che abbiamo contribuito a creare con l’azione, ed è da qui che inizia la nostra conoscenza del mondo. La metafisica, in questo senso, inizia dall’azione (…) In questa prospettiva, potremo anche dire, l’etica è l’insieme delle pratiche di personalizzazione” (p. 22).

“Le nozioni centrali dell’etica sono quindi: azione, volontà, soggetto e tempo (…) L’azione morale ha un rapporto del tutto peculiare con una certa idea di necessità: quella che possiamo chiamare necessità pratica e che normalmente si chiama dovere. Si tratta, si badi bene, della necessità di ciò che ha da essere, non di ciò che è dato” (p. 23).

“L’Occidente si distingue dalle altre culture soprattutto perché ha cercato di darsi una morale razionale accanto (e solo talvolta contro) alle morali religiose (…) La riflessione morale è un compito pratico, nel senso che va ricercata vivendo e vissuta pensando, e ha uno scopo pratico, cioè rendere la vita degna di essere vissuta per il fatto che la si attraversa riflessivamente […] la morale come filosofia è un’arte ragionata del vivere” (p. 35).

“L’individualità è il risultato di quelle che chiamo pratiche di personalizzazione, ovvero delle azioni, degli esercizi e delle abitudini con cui ho plasmato la mia identità individuale” (p. 54).

“La mia prospettiva intende recuperare più radicalmente la nozione kantiana di libertà come nucleo essenziale dell’essere persona, e mira a pensare il volere libero anzitutto come un pensiero critico che abita la prassi” (p. 55).

La natura di persona è l’individualità numerica del singolo; l’individualità personale è la sua singolarità biografica, che la persona ha costruito durante la sua esistenza. E’ così che le persone sono reali: come corpi estesi nel tempo in una costante attività autogenerata, vale a dire come agenti liberi […] In questa proiezione, l’esperienza morale è cruciale e da essa deve partire l’analisi del vissuto in questione. Non dall’esperienza cognitiva e nemmeno dal fenomeno della coscienza. Bensì dall’esperienza del volere. In tale esperienza un ruolo cruciale ha il sentimento del rispetto: l’atteggiamento che è suscitato dalla percezione di un potere indipendente, che si contrappone al volere dal suo interno” (pp. 65-66).

“Il potere della volontà appare come radicalmente altro da quello delle forze visibili, eppure sempre espressione di una forza che si rapporta ad altre forze. Esso è infatti intrecciato con (ed emergente da) lo stesso insieme di forze. Esso sporge perché scavalca l’indeterminatezza delle forze interagenti tra loro, determinandosi al di là delle somme di quest’ultime” (p. 67).

“La vita personale si apre attraverso la riflessività: siamo autoconsapevoli, benché non totalmente trasparenti a noi stessi, e questa è la radice del nostro essere persona” (p. 68).

“Ora, la questione filosofica più fondamentale di tutta l’etica – e forse dell’intero dominio della filosofia – è proprio cosa significhi volere” (p. 78).

“La morale inizia dal sentimento ma è la sua critica interna, la sua pedagogia, il suo allenamento” (p. 85).

“Il desiderio è originariamente la dinamica della vita alla ricerca di se stessa, di ciò che la perpetua e la fa dilagare” (p. 110).

“Il desiderio non può che essere all’origine dell’azione” (p. 114).

“Il punto importante [della dinamica della decisione di Aristotele] è che si tratta di una concezione che tiene insieme, senza soluzione di continuità, il desiderio e la ragione” (p. 119).

“Questo modo di essere, ovvero di agire, è precisamente ciò che contraddistingue l’uomo: volere ‘secondo ragione’ è l’opera (ergon) proprio dell’umano e non è la coartazione dei desideri da parte di una ragione distaccata, bensì l’attività riflessiva che si svolge all’interno del desiderio e che lo orienta e lo regola in base al suo stesso dinamismo.
(…) Quando il volere è conforme a se stesso, cioè esprime il suo essere un attivo determinarsi in base a ragioni vagliate con capacità critica, esso risponde spontaneamente a una legge di ragionevolezza che, mentre si applica, si rende anche presente alla coscienza […] La coscienza di questo principio è “prodotta” (“fatta”, “realizzata”) dalla ragion pratica, ma non creando dal nulla un principio, bensì rendendo consapevole un criterio naturalmente operante all’interno della ragione stessa nel suo uso pratico” (p. 159).

“Questo principio [dell’autonomia del volere] prescrive soltanto qualcosa di formale, vale a dire, più precisamente, un modo del volere e non direttamente un contenuto della volontà. Esso ci dice soltanto che, qualunque sia il nostro scopo, per noi si tratterà di un bene o di un valore nella misura in cui possiamo volerlo senza entrare in contraddizione con noi stessi” (p. 166).

“Questa formulazione, così generale e astratta, richiede solo che, nelle situazioni concrete, noi portiamo i nostri desideri e i nostri sentimenti entro una riflessione critica capace di riconoscere ciò che viola l’autorità originaria della libertà personale e che ci mette in contraddizione con noi stessi” (p. 167).

“Ogni azione, inclusa l’azione morale, ha un fine” (p. 167).

“La volontà libera esiste solo come caratteristica propria delle persone […] Le persone sono sempre lo scopo di ogni azione appropriata […] Se, nel fare queste cose, le persone sono ridotte a meri mezzi e se lo scopo dell’azione è soltanto distruggere, umiliare, conquistare o comprare, tutto questo non ha senso” (p. 170).

“Le persone sono libere di volere qualunque cosa, ma non di ridurre a cosa la propria o l’altrui persona” (p. 171).

“Si tratta di qualcosa di più denso e impegnativo di un sentimento: il rispetto è un sentire e un volere, un comprendere e un interpretare, nel senso pratico e addirittura attoriale in cui si interpreta un ruolo, si dà voce e corpo a un personaggio. E’ dal rispetto che prende forma sia il nostro volere sia un’individualità personale nella quale possiamo riconoscerci e proporci agli altri in modo autorevole” (173).

Agisci in modo da rispettare ogni persona, te stesso e chiunque altro” (p. 173).

“La modernità ha ricondotto ogni autorità ai soggetti stessi e precisamente alla loro libertà. Il movimento avviene per traslazioni progressive, che non è qui possibile riassumere, ma che si basano su un’unica accezione del rispetto: quella del riconoscimento di una forza superiore, incondizionata, che non può essere negata e che ci impone un atteggiamento come minimo deferente. Ora, questa forza superiore e incondizionata è, per la coscienza moderna, la libertà di ciascuno” (p. 177).

“In questo modo la struttura arcaica, gerarchica, del rispetto si traduce nella versione orizzontale, simmetrica: in ogni persona vi è un’autorità superiore cui è dovuto rispetto; io stesso devo rispetto a questa mia capacità di creare un mondo giusto […] vi è un solo modo di rispettare l’autorità della libertà: rispettare le persone […] Si tratta di inserirle nella relazione di riconoscimento che fa sorgere il potere sociale dal potere individuale di ciascuno: le istituzioni e i capi hanno tanta autorità quanta gliene conferisce la libertà delle persone associate e, comunque, si tratta sempre di un’autorità che, in quanto fondata sulle libertà personali, deve a queste ultime di rendere conto del proprio esercizio, in ogni circostanza” (pp. 178-179).

“Lo scopo della riflessione morale è formarsi un carattere” (p. 190).

“[la morale del rispetto] affida all’individuo il compito non di dedurre un sistema di doveri, ma di valutare riflessivamente e criticamente le proprie inclinazioni e aspirazioni, di comprenderne il valore e di scegliere a quali di esse affidare i vari aspetti della propria personalità” (p. 194).

“La vita vuole vivere e non c’è bisogno di alcun progetto, perché essa provi a espandersi e differenziarsi in ogni possibile direzione. Ora, è giocoforza notare, in questa prospettiva, che l’apparire degli esseri umani sulla terra faccia accadere un salto di qualità nella dinamica naturale: alla spinta meccanica della biologia si aggiunge la capacità progettuale della razionalità umana” (p. 201).

“La più completa armonia, il più pacifico dei progetti di convivenza, la più ordinata delle società non sono tanto efficaci quanto la naturale condizione di competizione che nasce dalla «insocievole socievolezza» degli umani. L’antagonismo – non la guerra, si badi, che è soltanto fonte di distruzione – è una molla più potente per l’espansione delle capacità mentali e personali: funziona da stimolo costante ed è regolata dalla più forte delle inclinazioni umane, l’amor proprio” (p. 202).

“[il movimento storico] si produrrà se vi contribuiremo personalmente, ma no per effetto di ingegneria sociale. E’ la chiave di quella che in un’ottica personalistica si chiama speranza e che non autorizza nessuno a ritenersi a guida di una storia di cui si pretenda di conoscere i cammini segreti e imprevedibili. I sogni millenaristici e totalitari, in questa prospettiva, sono banditi prima ancora come illusori che come pericolosi per la libertà delle persone.
E’ per questo che la storia resta un’impresa morale, ma non può essere un progetto moralistico” (p. 203).

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