Nella prima parte dell’opera l’autore analizza l’ospitalità nella tradizione ebraica, islamica e in quella cristiana.
Per quanto riguarda la tradizione ebraica, fa riferimento al testo biblico e alla letteratura rabbinica.
Dopo aver sottolineato un doppio atteggiamento, di separazione e di accoglienza nei confronti dello straniero, che emerge dalle raccolte dei testi legislativi dell’Antico Testamento, passa a descrivere il rituale dell’ospitalità nel mondo ebraico: preliminari dell’accoglienza, passaggio della soglia, abluzioni, pasto, scambio di doni. In molti racconti di accoglienza l’ospite ricevuto è identificato con un angelo o un messaggero di Dio, talvolta con lo stesso Jahvé.
Per quanto riguarda l’ospitalità del mondo islamico una testimonianza profondamente significativa è offerta dal libro di Al Ghazali "Kitab adab al-akl" (Il buon comportamento a tavola). L’opera si divide in quattro parti che trattano rispettivamente di pratiche di culto, costumi sociali, vizi o errori capaci di condurre alla perdizione e virtù o qualità che conducono alla salvezza.
Nel suo libro Ghazali esamina le regole della condotta quotidiana, comprese quelle in materia di sessualità e matrimonio, il modo di guadagnarsi la vita, la distinzione tra lecito e illecito, l’amicizia e il semplice cameratismo e il comportamento di chi è in viaggio. L’opera si presenta come una guida pratica e dettagliata del comportamento, ad uso dei semplici. L’autore consacra una buona parte del suo scritto al dovere di ospitalità sottolineandone i meriti che si acquisiscono, praticandolo, davanti ad Allah. “L’ospitalità non consiste tanto nella prodigalità verso un piccolo numero di persone ma piuttosto nell’accoglienza del più gran numero di commensali possibile attorno a una tavola imbandita”
Infine viene fatta una distinzione tra ospitalità e carità. L’atto dell’ospitalità si esprime tra pari, il gesto caritatevole segna invece una differenza profonda tra il donatore e il beneficiario che dipende completamente dal soccorso del primo. Perciò, il gesto caritativo esprime direttamente un’esigenza etica della fede. “In un’ospitalità davvero teologale Dio si lascia accogliere nello straniero e pellegrino, senza stancarsi di bussare alle porte dell’umanità”.
Nel contesto del Medio Oriente la tenda è il luogo in cui si riceve l’ospite. Chi entra sotto la tenda riceve la protezione del suo proprietario, ma è tenuto ad onorarlo, a osservare certe regole e a essere leale. Segue una descrizione delle pratiche dell’accoglienza,con un’attenzione particolare al pasto dell’ospitalità e alle infrazioni alle regole dell’ospitalità.
La prima parte del libro si conclude con l’analisi dell’ospitalità nel mondo cristiano attraverso brani del Nuovo Testamento. Anche qui, come nell’Antico Testamento, i diritti dell’ospite sono considerati cosa sacra.
L’attenzione dell’autore si sofferma sulla figura di Cristo che conduce fin dalla nascita una vita da itinerante in cerca di ospitalità e che trova spesso accoglienza, ma anche rifiuto; questo rifiuto vuol dire rifiuto della Buona Novella, perché nei Vangeli ospitare Cristo significa accogliere il Padre nel Figlio.
Nella storia del pensiero della Chiesa si sviluppa una letteratura a favore dell’ospitalità a partire dal III° secolo.Il monachesimo, attraverso l’introduzione degli xenodocheia (ospizi per i viandanti), dà inizio all’istituzionalizzazione dell’ospitalità.
Nella seconda parte del libro l’autore prende in esame il racconto del capitolo 18,1-15 della Genesi, la Teofania di Mamre, che narra l’incontro di Abramo con i tre angeli alle Querce di Mamre.
Padre Monge confronta l’episodio biblico della Teofania di Mamre nell’intepretazione cristiana nella tradizione ebraica ed islamica. Abramo, riconosciuto come padre della fede dalle tre religioni monoteiste, è considerato il modello del credente ospitale, sempre aperto e disponibile all’incontro con l’altro, indipendentemente dalle appartenenze. Abramo accoglie i tre ospiti con grande generosità senza conoscere la loro vera identità; questo dimostra la gratuità delle sue attenzioni.
Il libro si conclude con un epilogo che offre la chiave di lettura dell’opera. E’ necessario che i credenti riscoprano la loro «stranierità» per comprendere, accogliere e amare gli stranieri. L’esperienza di essere straniero ha portato il popolo di Israele a scoprire il valore dell’accoglienza. Sapersi e sentirsi stranieri permetterebbe di cogliere l’altro nell’interezza e nella complessità della sua persona.
Infine l’autore propone una riflessione su una nuova Teologia delle religioni, una teologia ospitale, “in dialogo”. In un mondo sempre più globalizzato, caratterizzato dal pluralismo religioso, occorre che le relazioni tra le religioni siano improntate all’apertura e al rispetto reciproco e che rifiutino ogni forma di arroganza e di intolleranza,nel riconoscimento che anche l’altro porta con sé una parte di verità.
Claudio Monge, Stranieri con Dio L’ospitalità nelle tradizioni dei tre monoteismi abramitici, Edizioni Terra Santa Milano 2013.
Citazioni
“La fede nel Dio che si fa uomo in Cristo cambia necessariamente non solo i rapporti tra l’universo divino e umano,ma anche i rapporti degli uomini tra di loro.Ecco perché è evidente che l’ospitalità non si esprime nella retorica di formule astratte, ma si traduce in atteggiamenti concreti che rivelano agli uomini il disegno di salvezza di Dio stesso.”
“Nella teologia neotestamentaria il carattere ontologico della pratica ospitale si arricchisce della dimensione trinitaria: in Cristo siamo invitati ad accogliere il Padre, mediante l’azione dello Spirito. In altre parole, l’ospitalità a livello dell’umano è avvolta nel mistero stesso dell’ospitalità intra-divina.”
“Se il dialogo resta una dimensione essenziale della teologia cristiana, l’ospitalità, come elemento complementare, rappresenta la capacità di vivere uno stato permanente di conversione stimolato dall’altro: una sorta di tempo di preparazione al dialogo interreligioso, in quanto indispensabile alla creazione di una necessaria fiducia che favorisca una condivisione delle ricchezze. Il vero dialogo, quindi, non è mai un cavallo di Troia per mezzo del quale insinuarci nelle fortezze dell’altro, ma un fine in sé, una vera e propria necessità!”
“I testi sacri delle tre religioni abramitiche affermano che il farsi carico dei più deboli è un barometro del profilo morale di una società. Di conseguenza, le comunità minoritarie, come quelle cristiane in Medio Oriente, sono a loro volta una sorta di barometro morale nei paesi dove sopravvivono, e possono giocare un ruolo profetico nei confronti delle culture dominanti.
Alienando gli altri si finisce per alienare se stessi da un mondo nel quale si vorrebbe essere maggiormente integrati.”
“Le religioni, in particolare quelle abramitiche, non possono più essere il luogo identitario reclamato per difendersi dalla diversità, ma piuttosto ‘terre di frontiera’ da attraversare, realtà che rimandano oltre se stesse, che aprono non solo a una Teologia del dialogo ma a una ‘teologia in dialogo”