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Molti si chiedono se abbia ancora un senso il concetto di Destra e di Sinistra, appartenere ad uno schieramento oppure ad un altro. Proviamo a ragiornare insieme…

Molti si chiedono se abbia ancora un senso il concetto di Destra e di Sinistra, appartenere ad uno schieramento oppure ad un altro.

Alcune forze politiche sostengono addirittura che le vecchie concezioni ormai sono superate e che esistono solo interessi di parte che si aggregano a seconda dell’offerta politica offerta. Certo è che il senso di Destra e Sinistra è molto cambiato da quando, in maniera del tutto casuale, alcuni montagnardi si sedettero a sinistra e altri della palude a destra alla prime riunioni della Convenzione Parigina dopo il 1789.

Per gran parte dell’800 Sinistra significava soprattutto allargamento dei diritti civili, come libertà di stampa, suffragio universale, autonomie locali e maggiore istruzione; la Destra oltre al freno a queste richieste rappresentava la classe dominante e i loro interessi concreti e spiccioli.

Dalla fine dell’800 fino a quasi tutto il ‘900 la Sinistra ha rappresentato le istanze più schiettamente sociali in alternativa ad un padronato industriale perché il “fuoco” della società era rappresentato appunto dal concetto stesso di “Fabbrica”; la produzione materiale dei beni informava tutta la società in tutti i suoi aspetti e quindi divideva nettamente (e banalmente) i padroni dagli operai.

Quando infine si è passati dalla società elettromeccanica a quella informatica il “fuoco” si è spostato dalla produzione all’informazione; traducendo dal lavoro alla vendita e di conseguenza tutta la società si è adeguata a questo nuovo modello.

La “vendita” ha due caratteristiche principali: l’accumulo di denaro come fine a se stesso adoperando come mezzo il falso sillogismo aristotelico (leggi pubblicità e informazione). La conseguenza è la finanziarizzazione dell’intera economia perché si scopre che i soldi producono altri soldi senza alcun lavoro, nell’illusione di avere una sempre maggiore ricchezza reale.

In questo nuovo mare magno in cui tutto è confuso e incerto la vecchia distinzione tra produttori e padroni del vapore si è andata allentando fin quasi a scomparire, perché la fabbrica ha comunque bisogno di due elementi fondamentali: i produttori e chi li organizza, ma se i margini di profitto sono drenati dalla finanza nulla rimane da dividere e da contrattare per i produttori: il vero nemico diventa il finanziere che davanti ad un computer fa crescere il prezzo dei cereali (causa prima delle rivolte arabe del 2011) o fa crollare il prezzo dell’olio come sta avvenendo oggi in Spagna dove un Kilo di olio extravergine viene venduto a 2,63 euro condannando tutti i produttori alla rovina: chiusura degli oleifici e licenziamento degli operai.

Per proseguire dobbiamo introdurre due concetti: la proprietà e il possesso. Chiariamo subito che per proprietà intendiamo l’uso esclusivo dei beni da parte dei privati, mentre il possesso è l’uso condizionato degli stessi. La proprietà è riferita alle decisioni dei pochi, mentre con il possesso c’è sicuramente chi comanda, ma è condizionato (più o meno) da patti sociali, leggi, comunità più o meno organizzate ed infine, i soggetti operano all’interno di regole comuni imposte o condivise da altri.

Detto questo su di un piano storico appare evidente che il “padrone del vapore” ottocentesco era il vero e unico proprietario della fabbrica, egli disponeva ogni suo atto senza alcun condizionamento né da parte delle leggi, né da patti sociali interni alla fabbrica, e ancora meno da patti sociali esterni ad essa, cioè territoriali; la volontà di pochi si contrapponeva ai bisogni di molti. Allo Stato era demandato il solo compito di garantire le poche funzioni generali (giustizia, difesa, ordine pubblico
in funzione anti operaia), tanto che il bilancio dello Stato rappresentava appena il 12 % del Pil negli anni attorno al 1880.

Nel corso del ‘900 questa proprietà assoluta è andata diminuendo per una serie di fattori interni ed esterni alla fabbrica: l’affermazione del sindacato, uno Stato che fornisce livelli crescenti di welfare, l’attenzione all’ambiente e una legislazione che salvaguarda i diritti dei più deboli. Sicuramente c’è sempre chi comanda dentro all’azienda, ma esso deve sottostare ad una serie di regole e norme che limitano fortemente il concetto di proprietà assoluta tipico dell’800. Tanto più stringenti sono le norme tanto più diminuisce la proprietà e cresce il concetto di possesso.

Neppure io sono proprietario assoluto di casa mia, perché devo sottostare a norme vincolanti e puntigliose che limitano la mia proprietà: norme catastali, impositive di imposte, costruttive, di destinazione di uso, fino ad arrivare al colore della facciata o a non mutare la disposizione interna delle stanze. Tuttavia, proprio quando il concetto di possesso raggiungeva l’apice, alla fine degli anni ’80, si è sviluppato un nuovo fenomeno: la finanziarizzazione dell’economia.

I capitali si sono andati concentrando nella mani di pochi a cui è stata data, colpevolmente, la possibilità di disporne in modo assolutamente privatistico, svincolandoli da regole di legge e patti sociali, con l’aggiunta di un forte potere “ricattatorio” nei confronti dei due soggetti produttori e dello Stato in toto.

Il fallimento della Lehman Brother nel 2008 ha insegnato a tutti che se una banca fallisce trascina con sé grossi pezzi dell’economia reale e provoca disastri ben più grossi di una qualunque altra azienda. Così il Monte dei Paschi non può fallire e tanto meno la Deutsche Bank: è il ricatto a cui devono sottostare tutte le istituzioni; non solo, la cosa è ancora più grave. La crisi, causata da un eccesso di liquidità e indebitamento viene curata con dosi massicce di iniezioni di denaro per le grandi istituzioni finanziarie: è come spegnere gli incendi con la benzina. Mai, nella storia del ‘900 si era vista una cosa simile, semmai il suo esatto contrario, con la totale acquiescenza di tutti: stampa, addetti ai lavori e forze politiche.

Dunque un nuovo soggetto economico si è affermato a livello mondiale, il finanziere: colui che dalla compra-vendita di carta fa i soldi (quelli veri) drenandoli dalla produzione, cioè dal lavoro, senza alcun controllo da parte di nessuno e con un titolo di proprietà assoluto.

Torniamo a noi. Sinistra e Destra ci sono ancora, essi corrispondono nella storia ai molti e ai pochi che non hanno (o hanno avuto) vincoli di sorta e agiscono solo per il proprio tornaconto personale come sta accadendo oggi con l’alta finanza.

Nel corso di due secoli, Sinistra e Destra hanno cambiato, per ben tre volte, le loro finalità immediate e anche il mestiere che facevano, ma continuano ad esistere e ad operare. Sarebbe comunque miope insistere a leggere il mondo con gli occhiali del ‘900; la società elettromeccanica non esiste più e con essa non esiste più, o in forma molto meno forte, l’antagonismo tra capitale produttivo e lavoro, anzi per il futuro è prevedibile una loro alleanza per sconfiggere il nuovo mostro, che si chiama finanza selvaggia e sta uccidendo il lavoro e con esso l’economia reale.

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