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Di fronte a una carestia molto grave occorre limitare la libertà di mercato. In altre parole: non ci può essere libertà di mercato quando si muore di fame. Il mercato va regolato. E questo valeva ieri come vale oggi

Noi oggi, nelle società occidentali, viviamo il tempo dell’abbondanza e spesso sprechiamo il cibo. Nel passato, invece, per millenni è prevalso il tempo della fame. Fino a duecento anni fa la fame era uno spettro che terrorizzava anche le società dell’Europa occidentale. Le cose incominciano a cambiare circa 250 anni fa, quando prende avvio la Rivoluzione industriale, alla quale si accompagna anche un aumento delle produzioni agricole.

Prima della Rivoluzione industriale, nelle società preindustriali le risorse alimentari erano scarse, perché non si riusciva a rendere più produttiva la terra, ed erano anche molto variabili, perché non si riusciva ad avere produzioni stabili. Per questi motivi, la massa della popolazione raggiungeva appena la sussistenza. Vi erano spesso gravi carestie: quelle più drammatiche provocavano migliaia e migliaia di morti per fame. La carestia in genere era determinata dal cattivo tempo, ma fra le cause c’erano pure le epidemie (soprattutto la peste) e anche le guerre, che spesso comportavano la devastazione dei campi.

Quando scoppia una crisi alimentare, i poveri, che nelle città europee in genere erano il dieci per cento degli abitanti, crescono rapidamente e possono arrivare anche alla metà della popolazione. Di fronte alla carestia, prima si prova a mangiare di tutto; si fa il pane con leghiande e si mangiano le erbe dei campi; si ruba quello che si può rubare; si attaccano i forni, i magazzini del grano e le case dei ricchi. Poi, sempre più debilitati, si muore di fame.

La crisi alimentare nasce non solo dalla scarsità della produzione e dalla sua variabilità, ma anche da una difficoltà: una quota consistente della popolazione non riesce ad accumulare riserve o scorte alimentari che le permettano di affrontare la carestia. La maggioranza della popolazione non solo viveva sempre in condizioni precarie, ma era anche facilmente vulnerabile: poteva cioè essere colpita da un qualsiasi imprevisto: una malattia, un incidente, una morte in famiglia. La Chiesa invitava i ricchi ad essere caritatevoli e generosi con i poveri. Per questo motivo in occasione delle carestie i ricchi donavano un po’ del loro grano. Lo facevano anche per evitare la collera dei poveri, che quando hanno fame possono diventare pericolosi.

Proprio per la diffusa precarietà fin dal Medioevo ci si organizza in associazioni assistenziali. Questa è una delle funzioni svolte dalle confraternite medievali. Le confraternite non svolgono soltanto attività devozionali, ma forniscono anche assistenza; in tempo di carestia possono distribuire cereali o dar vita ai “monti frumentari”, che mettono a disposizione il grano necessario per la semina quando, spinti dalla fame, i contadini hanno mangiato anche le sementi.

Se i poveri non riuscivano ad accumulare scorte e la carità dei ricchi era spesso insufficiente, potevano intervenire le autorità pubbliche: poteva farlo il Comune o lo Stato. Molte città dell’Italia comunale utilizzano una parte delle tasse pagate dai maggiori proprietari fondiari per istituire un organismo che provveda a sfamare i poveri in tempo di carestia: l’Ufficio dell’Annona. Questo ufficio accumulava riserve di grano da poter distribuire ai poveri in caso di necessità. Quando quelle scorte erano esaurite, il Comune poteva imporre ai ricchi di mettere a disposizione una parte del loro grano. Grazie all’esperienza dell’Annona si capisce che si può essere previdenti. È con l’Annona che nasce quella che oggi chiamiamo la “previdenza sociale”: l’INPS è appunto l’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale. Non solo: gestendo l’Ufficio dell’Annona si capisce che di fronte all’emergenza i ricchi devono aiutare i poveri, ma non con donazioni volontarie, bensì con versamenti di grano (o di denaro) commisurati alla ricchezza posseduta.

Questa esperienza storica suggerisce tre riflessioni. La prima. Di fronte a gravi calamità si può essere previdenti; anzi, si deve essere previdenti.

La seconda. Dal concetto che le donazioni di grano devono essere commisurate alla ricchezza posseduta, più tardi nascerà la tassazione progressiva sui redditi, che sarà un passo avanti formidabile sulla strada della giustizia sociale. È una acquisizione fondamentale dell’età moderna: per realizzare una maggiore giustizia sociale bisogna tassare in modo progressivo i redditi più elevati: chi è più ricco, deve pagare più tasse. È un concetto semplice, accolto nel corso dell’Ottocento da tutti i Paesi europei, ma poi rimesso in discussione in America da Bush, in Inghilterra dalla Thatcher e in Italia da un capo del governo che era l’imprenditore più ricco del Paese.

Infine l’ultima, la terza, tratta anch’essa dell’esperienza dell’Annona. Di fronte alle crisi più gravi, soprattutto se la carestia dura più di un anno, anche l’Ufficio dell’Annona non riesce a dare risposte: prima si esaurisce il grano; poi si esauriscono i fondi in denaro necessari per acquistare grano nelle regioni non colpite dalla carestia; e allora si muore ancora di fame. Nelle città non dominate dai grandi mercanti che speculano anche sulla fame dei poveri, in tempo di carestia si vieta ai maggiori proprietari di esportare grano. Di fronte a una carestia molto grave occorre limitare la libertà di mercato.

In altre parole: non ci può essere libertà di mercato quando si muore di fame. Il mercato va regolato. Valeva ieri. Vale oggi. Ci devono essere regole che limitano l’assoluta libertà di mercato perché la vita dei cittadini viene prima della libertà del mercato.

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