Il tempo dell’inizio della primavera ha coinciso con una fioritura di iniziative importanti per l’economia civile. Fra l’11 e il 17 marzo si sono susseguiti quattro eventi che nella loro eterogeneità indicano un unicum progettuale, capace di coinvolgere una pluralità di soggetti. La sfida  futura è quella di mettersi insieme per l’elaborazione di un progetto di "bene comune".

Il tempo dell’inizio della primavera ha coinciso con una fioritura di iniziative importanti per l’economia civile. Fra l’11 e il 17 marzo si sono susseguiti quattro eventi che nella loro eterogeneità corrispondono ad un unicum progettuale, capace di coinvolgere una pluralità di soggetti.

L’11 marzo, presso la Camera dei Deputati, è stata presentata l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), una realtà che, nata grazie all’iniziativa della Fondazione Unipolis e dell’Università di Roma “Tor Vergata”, si prefigge l’obiettivo di essere il nodo italiano dell’Alleanza Globale per lo Sviluppo Sostenibile. L’ASviS vede ad oggi il coinvolgimento di oltre 70 fra organizzazioni sociali e reti della società civile italiana.

Il 12 e 13 marzo, presso la base scout di Bracciano, si è tenuto il Convegno Regionale dell’AGESCI Lazio, nel quale più di duecento capi dell’associazione si sono confrontati sul tema dell’impegno educativo per la costruzione di una nuova economia e di nuovi stili di vita capaci di rispondere alle sfide ambientali e sociali sottolineate nell’Enciclica Laudato sì.
Sono state individuate alcune best practices da sviluppare e diffondere nelle realtà territoriali e nella quotidianità, per un’educazione capace di formare in maniera sempre più compiuta i cittadini.

Il 14 marzo, presso la sede nazionale dell’ISTAT, si è tenuta la giornata intitolata Misurare il benessere dei territori: il contributo del BES delle Province, un’occasione nella quale sono stati presentati i risultati degli sforzi compiuti per giungere ad un framework capace sia di misurare il livello di benessere equo e sostenibile delle Province italiane sia di essere lo strumento tramite cui le amministrazioni locali possono articolare i loro programmi e pianificare i loro interventi (per tale ragione gli indicatori selezionati non sono una semplice traduzione a livello provinciale di quelli nazionali e regionali, ma sono stati integrati con ulteriori dati generali e specifici in possesso degli archivi locali). Due, in sintesi, gli obiettivi principali del progetto presentato: dare radicamento territoriale al benessere equo e sostenibile; giungere ad un rapporto fra politica e statistica che sia funzionale all’accountability locale, in una prospettiva di amministrazione e statistica multilivello coordinata e condivisa.

Il 15, 16 e 17 marzo si è tenuta a Roma la conferenza internazionale sull’Happiness, con la presentazione della quarta edizione del Rapporto sulla Felicità nel Mondo (World Happiness Report 2016), che ha visto coinvolte nell’organizzazione istituzioni universitarie (LUMSA e “Tor Vergata” in primis), pubbliche (la Banca d’Italia) e culturali (Il Cortile dei Gentili e l’Auditorium di Via della Conciliazione). Il primo giorno è stato interamente dedicato alla presentazione dei più avanzati ed innovativi progetti e risultati della ricerca accademica. Il secondo giorno ha visto la presentazione completa del Rapporto, i cui risultati testimoniano un livello di felicità maggiore nei “soliti paesi noti”, con l’Italia che si attesta al cinquantesimo posto. Ma da cosa dipende la nostra felicità secondo gli autori? Sono sei le determinanti individuate del vivere bene, a partire dalle quali è stato costruito l’indice della felicità: il Pil reale pro capite, l’aspettativa di vita in buona salute, l’avere qualcuno su cui poter contare, il livello di libertà percepito per compiere le scelte di vita, il livello di corruzione percepito e la generosità. Non sorprende che sulla base di queste variabili sul podio ci siano Danimarca, Svizzera ed Islanda. Come sottolinea l’economista Jeffrey Sachs è importante “lavorare duro, avere buoni rapporti sociali” e soprattutto “governare onestamente, pagare molte tasse in cambio di servizi adeguati”, perché in questi paesi è il bene comune costruito da ciascuno ad essere la priorità: le diseguaglianze sono attenuate con un continuo processo di raccolta di risorse e redistribuzione secondo necessità.

Infine, il terzo giorno, è stata lanciata
la sfida della felicità alle nuove generazioni: in un Auditorium pieno di studenti liceali ha preso vita un fecondo dibattito sui temi della felicità, della sostenibilità ambientale e delle possibili traiettorie sociali di un’altra economia, un dibattito nel quale i giovani hanno potuto fare direttamente le loro domande ai sei professori che hanno dato vita al Report 2016 (Sachs, Layard, Helliwell, Becchetti, Bruni e Zamagni).

La necessità di vedere questi quattro eventi come anime distinte di un solo corpo in movimento nasce, come già riportato, dai loro aspetti di complementarietà. Sono quattro frecce che potranno raggiungere il bersaglio di un nuovo modello di sviluppo umano ancorato all’idea di benessere multidimensionale, al quale ognuna di esse aspira, solo se saranno capaci di riconoscere reciprocamente il comune arco di partenza. Ognuna di queste esperienze presta il fianco alle critiche che pongono in luce le loro specifiche debolezze. Basti pensare al rischio dell’irrilevanza politica ed operativa dei networks come l’ASviS, al buonismo utopico del quale vengono accusate le associazioni educative come l’AGESCI, alla complessità tecnica di realtà come il BES delle Province che pone l’accento su elementi oggettivi piuttosto che soggettivi, il cui rischio è quello di non riuscire a ricucire lo strappo fra politica e statistica da un lato e cittadini dall’altro.

Anche il Report sulla felicità e la sua classifica hanno suscitato non poche polemiche, soprattutto per quanto riguarda il trade-off che esiste per alcuni nella prima nazione classificata, la Danimarca, fra felicità interna ed accoglienza dell’esterno, dell’altro: la felicità è possibile solo in sistemi chiusi che costruiscono confini sempre più alti per proteggere la propria condizione di vita? In altri termini: i buoni sentimenti non bastano, servono le competenze e serve saper leggere la complessità; gli eventi “spot” non bastano, serve una struttura educativa quotidiana; l’alleanza tra la società civile non basta, deve essere articolata in alleanza con i cittadini, con le amministrazioni e con i centri di ricerca; la felicità interna ai confini non basta, deve essere coniugata con la costruzione di una felicità globale, senza confini.

Le sfide sono dunque molteplici e occorre la capacità di mettersi uno accanto all’altro per l’elaborazione di un progetto comune. Ognuna delle esperienze presentate è l’avanguardia di una leva necessaria del cambiamento: la leva della società civile come rete, quella educativa, quella della competenza amministrativa e quella della ricerca accademica. La primavera dell’economia civile, incarnata nelle quattro esperienze sinteticamente richiamate, lancia ad ognuno di noi una sfida: costruire i luoghi per far sedere allo stesso tavolo gli attori di queste leve. Riuscire in questa impresa significa andare a superare le difficoltà di ognuna di esse e soprattutto significa riuscire a costruire una nuova visione dell’uomo. Un essere umano che, in un continuum spazio-temporale, è capace di vivere il livello di impegno personale nell’azione locale, andando oltre i confini nazionali, perché educato ad un pensiero di respiro globale.

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