Tutto ciò che ci circonda soggiace a questo principio; l’uomo stesso, macchina efficientissima, è costretto a ingerire più calorie di quanto lavoro possa produrre perché per vivere è costretto a mantenere la sua temperatura a 37 gradi e quindi disperde calore.
Nelle uguaglianze matematiche, apparentemente perfette, vi è una incongruenza: non appare mai il valore S (simbolo dell’entropia) nella seconda parte dell’uguaglianza stessa. Così ci sembra possibile che l’equazione possa indicare una trasformazione sia un verso che nell’altro. Prendiamo l’uguaglianza più famosa E=mc2: essa indica che l’energia è uguale alla massa per la velocità della luce al quadrato, ma è vero anche il contrario, cioè che l’energia, diviso il quadrato della velocità della luce, è uguale alla massa (m=E/c2). Dunque potrei ottenere massa o energia semplicemente andando da sinistra verso destra e al contrario dal secondo al primo termine, ottenendo sempre la stessa quantità iniziale di energia o di massa.
In teoria è così, solo che ad ogni trasformazione lo stato di energia che ottengo è sempre più caotico e non è più utilizzabile. Più correttamente quella formula andrebbe riscritta così: E=mc2 + S dove S non è un valore ma indica lo stato caotico dell’energia o della massa dopo la trasformazione, che non è possibile recuperare e che sommandosi in continuo fa passare la materia da uno stato più ordinato ad uno più caotico.
Attenzione però: non posso spostare quel +S dal secondo termine al primo cambiando di segno, cioè non posso scrivere E –S=mc2 proprio per la legge scoperta da Clausius, in sostanza non posso diminuire il disordine. In ogni equazione (uguaglianza) posso spostare qualsiasi valore semplicemente cambiando il segno, ma non posso farlo con l’entropia perché essa ha sempre, per definizione, un valore positivo, mai negativo. Quella uguaglianza teorica diventa una diseguaglianza nella realtà. Siamo arrivati alla prima contraddizione della matematica.
E=mc2 + S indica anche che io posso solo andare in un senso, da sinistra verso destra e mai viceversa, perché non potrei mai ottenere di nuovo il quantitativo iniziale. Tradotto significa che la freccia del tempo va dal passato verso il futuro e, per la legge di Clausius mai dal futuro verso il passato. Nelle equazioni (uguaglianze) matematiche invece, il tempo potrebbe scorrere indifferentemente nei due sensi. Questa è la seconda contraddizione della matematica perché cozza contro una legge fondamentale della fisica; l’entropia stabilisce la direzione del tempo.
Possiamo dunque dire che la diseguaglianza sia “ontologica” alla materia, cioè è la natura stessa della materia.
Torniamo per un attimo alle conseguenze del concetto di entropia. Se ad ogni trasformazione della materia (o dell’energia, dato che in fondo sono la stessa cosa) si produce un aumento del disordine senza possibilità di recupero, vuol dire che il caos entropico aumenta costantemente. I pezzi di legna accatastati nella mia legnaia e pronti per bruciare, a me appaiono sinonimo di ordine, in realtà hanno uno stato più caotico di quando erano alberi nella foresta, perché ho sudato per tagliarli, metterli a posto e ho prodotto segatura inutilizzabile. In termini fisici ho disperso più calore di quanto ne avevo prima, sia pure in forma potenziale.
Dunque, se il caos entropico aumenta costantemente, cade per l’uomo la possibilità di comprensione dell’universo con la sua sola ragione perché la semplice osservazione della realtà produce un maggiore stato entropico che sfugge inesorabilmente alla comprensione.
Cade d’un colpo gran parte del pensiero laico otto/ novecentesco che appunto aveva questo postulato. Per costoro sarebbe stato sufficiente liberarsi dagli “orpelli” della religione e della superstizione per riuscire a comprendere la verità che si sarebbe così svelata ai nostri occhi. In realtà è l’apologo di Achille e della tartaruga: noi non riusciremo mai a raggiungere la tartaruga perché come ci muoviamo produciamo un suo analogo avanzamento verso il caos entropico. Come Achille e la tartaruga avanzano, così crescono comprensione e caos, ma come Achille non raggiungerà mai il suo antagonista, così noi non riusciremo mai a comprendere il Tutto.
Ma cade anche l’idea di un mondo armonioso e specchio dell’armonia divina. Il pensiero cristiano ha preso quel “a sua immagine e somiglianza” troppo alla lettera e ora si scopre che sono proprio le leggi della fisica che, almeno in parte, lo negano; o meglio lo negano nella interpretazione che gli si è voluto dare, costruita su di una visione miope di un ordine sociale, economico e giuridico il più possibile lontano dalla dinamica del conflitto e del disordine. Credo pertanto che su questo punto sia urgente una rinnovata riflessione che sappia riunire i nuovi orizzonti della scienza con quelli della fede.
Tutti gli astrofisici concordano su di un punto preciso: all’origine del Tempo ci deve essere stata per forza una diseguaglianza che ha dato origine all’Universo che noi oggi conosciamo. Senza quella piccolissima disuguaglianza iniziale non ci sarebbe stato lo sviluppo dell’Universo stesso; tutto sarebbe rimasto eternamente immobile e sempre uguale a se stesso. Oggi, noi viviamo perché esiste una disuguaglianza di calore tra il Sole e la Terra e questo ha innescato e mantiene il principio della vita come la conosciamo; quindi in fisica disuguaglianza è sinonimo di sviluppo, uguaglianza di immobilità.
Ricordavamo all’inizio l’intervista rilasciata a "La Repubblica" dal Cardinale Martini il quale assimilava il peccato alla diseguaglianza, riferendosi allo stato sociale e non certo alla fisica. Va ricordato come l’arcivesco di Milano abbia affrontato il tema della disuglianza in diverse occasioni e nel suo libro Conversazioni notturne a Gerusalemme. Al termine di queste parole in libertà, possiamo possiamo tentare di accostare i concetti di peccato e diseguaglianza alla scienza.
Abbiamo detto che la diseguaglianza è ontologica alla materia, esattamente come per Sant’Agostino e San Tommaso il peccato è all’uomo: il primo con una visione più pessimistica, il secondo più ottimista, ognuno figlio del proprio tempo, ma ambedue avendo presente la separazione tra terreno e divino: il primo imperfetto e corruttibile, il secondo, al contrario, perfetto e per questo incorruttibile.
Voglio qui concludere con le parole di San Tommaso, dottore della Chiesa, “Veritas: Adaequatio intellectus ad rem. Adaequatio rei ad intellectum. Adaequatio intellectus et rei.” Verità: Adeguamento dell’intelletto alla cosa. Adeguamento della cosa all’intelletto. Adeguamento dell’intelletto e della cosa.
Noi, uomini del terzo millennio, siamo chiamati a quello che ci ricordava Tommaso; questo è lo sforzo immane che ancora una volta si presenta davanti al nostro cammino, ma siamo certi che “una facoltà necessaria che caratterizza l’uomo è la sua tendenza a realizzare pienamente la propria natura ovvero compiere ciò per cui è stato creato. Ciascun uomo infatti corrisponde all’idea divina su cui è modellato di cui l’uomo è consapevole e razionale, conscio delle proprie finalità, alle quali si dirige volontariamente avvalendosi dell’uso dell’ intelletto”.