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Le disuguaglianze crescono in modo esponenziale. E’ urgente intervenire. Ma serve una politica non sottomessa all’economia che faccia scelte coraggiose che puntino al riequilibrio e all’equità. Da un lato occorre regolamentare il settore finanziario, dall’altro bisogna ridurre le disuguaglianze attraverso politiche fiscali redistributive. Occorre inoltre intervenire sull’economia reale, sostenendo lavoro e imprese ma anche favorendo una crescita della produttività basata sull’innovazione tecnologica e non sulla riduzione dei diritti dei lavoratori

Nel mese di gennaio molti organi di stampa hanno dato grande risalto alla notizia che le disuguaglianze sociali hanno ormai raggiunto livelli record. Nel Rapporto Grandi disuguaglianze crescono pubblicato dall’Oxfam – una confederazione di diciassette ONG che lavorano in più di 100 paesi per lottare contro la povertà – si calcola che ormai la ricchezza detenuta dell’1% della popolazione mondiale si è avvicinata a quella del restante 99% e la supererà nel 2016. Lo slogan inventato dal Movimento Occupy Wall Street per denunciare gli abusi del capitalismo finanziario si sta dunque concretizzando. In un mondo dove un miliardo di persone vive con circa un dollaro al giorno e il dieci per cento degli abitanti del pianeta non ha abbastanza da mangiare, questa esplosione della disuguaglianza frena la lotta alla povertà nei Paesi poveri e crea nuove povertà nei Paesi ricchi.

In Italia, il patrimonio delle dieci famiglie più ricche è uguale al totale del patrimonio dei venti milioni di cittadini più poveri. Secondo i dati pubblicati dalla Banca d’Italia, dal 2008 la ricchezza totale degli italiani è diminuita di 814 miliardi; questa perdita, però, ha interessato soltanto la parte bassa della scala sociale; nella parte alta della scala sociale è successo l’opposto: i patrimoni personali sono cresciuti come mai era accaduto negli ultimi decenni.

Non è solo un problema di giustizia: secondo alcuni dei maggiori economisti (da Paul Krugman fino al premio nobel Joseph Stiglitz), l’eccessiva disuguaglianza, unita all’assoluta libertà di speculazione lasciata alla finanza internazionale, è una delle principali cause della crisi che stiamo vivendo. In una società basata su consumi di massa non ci si riprende dalla crisi se si continua a indebolire i ceti medi, in particolare impiegati e lavoratori.

A sua volta, l’economista francese Thomas Piketty sottolinea un altro aspetto altrettanto preoccupante: dal 1980 le grandi fortune stanno crescendo a un ritmo superiore a quello della crescita economica complessiva. Questo significa che in futuro, se non verranno introdotti dei correttivi, dopo aver indebolito la classe media, le grandi fortune raggiungeranno livelli incompatibili con le nostre società democratiche. Insomma metteranno a rischio la democrazia.

Quello che sta accadendo non è ineluttabile. Si può intervenire. Si può correggere. Ma serve una politica non sottomessa all’economia e che faccia scelte coraggiose: cioè politiche di riequilibrio e politiche di equità. Da una parte occorre intervenire su un settore finanziario deregolamentato impedendo quelle speculazioni che hanno provocato la bolla finanziaria che è stata alla base della crisi del 2008. Dall’altra occorre ridurre le disuguaglianze e questo è possibile con politiche fiscali redistributive: lotta dura all’evasione e all’elusione fiscale e più tasse sulle rendite finanziarie, sulle grandi ricchezze e sui super redditi non solo per aiutare i poveri ma anche per sostenere le classi medie.

Infine occorre intervenire anche sull’economia reale, sostenendo lavoro e imprese e riducendo il cuneo fiscale, ma anche favorendo una crescita della produttività basata sull’innovazione tecnologica e non sulla riduzione dei diritti dei lavoratori. E aumentando gli investimenti in ricerca e sviluppo e in formazione del capitale umano. Solo così si esce dalla crisi e si prepara un altro futuro per il nostro Paese e per l’intera umanità.

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