La Mafia viene dopo ormai, come una terribile malattia scaricata e sostituita nella cronaca e nelle discussioni da quella che doveva esserne la cura e il rimedio: la Mafia sembra diventata ormai una memoria storica ridotta a due-tre tragici episodi da citare come orpello retorico in un comizio, un banale tema da cineforum e più semplicemente una ex emergenza da cui nel tempo si è preferito distrarsi.
Praticamente oggi in Sicilia la Mafia esiste soltanto come obbligata ma non troppo approfondita premessa storico-culturale al grande e popolarissimo fenomeno dell’ Antimafia. Su giornali e telegiornali sono ormai assenti da tempo le facce brutte e cattive dei boss e dei ricercati perché dappertutto ci sono le belle facce, le belle parole e i bei progetti degli antimafiosi che sono dappertutto, dal governo regionale alle camere di Commercio, dai partiti alle imprese, dai sindacati alle cooperative, ovunque solo alfieri della legalità sopra tutto e della moralità manifesta.
La Mafia non c’è più, ma come…? Facciamo un passo indietro e torniamo alla Cattedrale di Palermo infestata di lacrime e preghiere, agli sterminati cortei spontanei di siciliani che avevano perso il sonno e quasi la speranza e alle migliaia di fiaccole accese per celebrare Falcone, Borsellino e tutte le altre persone spazzate via dalla ferocia della Bestia Totò Riina: dopo le bombe i siciliani avevano detto mai più perché avevano sanguinato troppo. E furono subito Maxi Processo e condanne esemplari, rinnovamento nei partiti e nelle istituzioni, nuove leggi e nuove volontà, primavere a Palermo e Catania e tutta questa entusiasmante stagione ancora sporca di sangue ma irresistibile, trasversale ma anche colta, civica e civile ma pure molto politica e concreta, prese l’orgoglioso nome di Antimafia.
Nessuno poteva pensare che della cura, dell’antidoto alla terribile malattia ci saremmo poi tutti avvelenati. Le cause furono le stesse di sempre, tutte figlie buttane del potere, e così alcuni politici, non per forza preparatissimi o capaci nell’ amministrare, iniziarono a fare slogan da pseudo sceriffi e a proclamarsi nemici giurati della Mafia e vittime fortunate ma sconvolte di numerosi attentati tanto violenti quanto fallaci, e giù subito medagliette dorate e poltrone importanti, così alcuni imprenditori che denunciarono pizzi e boicottaggi ovunque e giù subito vetrine e finanziamenti ad hoc, e lo stesso per alcuni magistrati che iniziarono a ricercare con molto clamore il sensazionalismo del grande Imbroglio tralasciando le semplici ma fondamentali carte, e giù subito televisioni e candidature in politica.
In pratica l’Antimafia in Sicilia col tempo rischia di diventare una bella fama, un’etichetta commerciale, un sicuro viatico per il potere, e la vera lotta alla Mafia che ancora c’era e si riorganizzava, rischia di diventare un affare di pochi poliziotti e pochissimi magistrati, mentre "gli altri" ne parlano sempre ai convegni, odiandola e combattendola con bei discorsi e accuse e denunce vaghe, mai provate ma sempre roboanti.
E siccome ogni regno ha i suoi albori, il suo apice e la sua decadenza, possiamo dire che l’ Antimafia di regime – perché in Sicilia tutti i ruoli di potere pubblico e privato sono saldamente in possesso di uomini, donne, politici, professionisti e magistrati nominati e premiati in virtù del loro pubblico e rivendicato impegno morale contro la Mafia – ha in questi giorni conosciuto le sue prime crepe, con il sempre più palese fallimento di una classe politica eletta al governo in forza della sua antimafiosità ma troppo confusa e contraddittoria per apportare risultati concreti nella lotta alla stessa e assolutamente incapace di coniugare sviluppo e innovazione all’ incessante opera moralizzatrice.
Per non tacere del Presidente della Camera di Commercio di Palermo beccato pochi giorni fa mentre pretendeva una grossa tangente da un onesto pasticcere che chiedeva l’autorizzazione a vendere cassate e cannoli in un aeroporto che si intitola "Falcone e Borsellino". Inutile aggiungere che negli anni recenti l’autorevole rappresentante dei commercianti non esitava mai a presenziare a un convegno sulla legalità nel fare impresa o a una premiazione intitolata a Libero Grassi, imprenditore palermitano ammazzato tanto tempo fa perché non voleva pagare il pizzo.
Lo stesso pizzo – o tangente che dir si voglia – che il potente chiedeva in cambio di autorizzazioni facili. Ecco una dimostrazione plastica di cosa rischia di diventare l’Antimafia in Sicilia: impostura, vanagloria, incompetenza e potere fondati su un impegno meramente retorico e propagandistico per la legalità e la sconfitta della Mafia. La quale ringrazia sentitamente e si organizza, tesse le sue tele e continua i suoi traffici di cose e persone, concedendo ai giornali e alla Giustizia soltanto i nomi e le facce dei suoi ultimi sgherri da rissa in discoteca o spaccio di periferia, operando in silenzio e furbizia mentre le icone e le "star dell’Antimafia" se la cantano da soli e si scontrano tra loro per chi è più "antimafioso", e in tal senso è esilarante la fresca notizia "La Commissione Antimafia indaga l’ Antimafia Siciliana" perché nel frattempo è stato anche indagato per contatti con la mafia pure il leader dei confindustriali siciliani, salito alla ribalta mediatica e alla guida del movimento proprio per l’ annunciatissima lotta al pizzo e al racket.
E il fantasma di Matteo Messina Denaro, ma chi lo cerca se stanno tutti a parlare e denunciare, se la ride. Oggi la Mafia in Sicilia non spara e non si sente, ben nascosta dai nostri fiumi di parole e ipocrisia.