Questa è stata la prospettiva del convegno che si è tenuto ieri presso l’Istituto Sturzo su ”La grande sfida italiana: riattivare le nuove generazioni per far crescere il Paese”. È stata l’occasione per presentare e commentare alcuni risultatati di Rapporto Giovani, un progetto di ricerca pluriennale dell’Università Cattolica di Milano e dell’Istituto Toniolo.
Due elementi interessanti provengono dall’illustrazione di Alessandro Rosina, direttore della ricerca: l’individuazione di alcune caratteristiche dei millennials italiani e la proposta di alcune linee di intervento per promuovere l’inserimento lavorativo dei giovani.
Rapporto giovani ragiona su due pregiudizi: non ci sono bamboccioni, non c’è un sentimento disfattista tra i giovani. Infatti i millennials, i ragazzi e le ragazze nate a cavallo del 2000, si percepiscono come una risorsa per l’Italia e non una categoria a rischio, inoltre tendono all’azione ed evitano di piangersi addosso.
In ambito lavorativo i risultati della ricerca offrono luci e ombre: da una parte il lavoro è visto come impegno, come ambito di autorealizzazione e come attività che sostiene una progettualità di vita, inoltre i giovani trovano interessanti le attività manuali se sono creative e si diffonde tra loro un orientamento a lavorare in modo autonomo anche se alle dipendenze di qualcuno; dall’altra parte incontrano un mercato del lavoro che chiede un continuo adattamento al ribasso, rispetto alle aspettative e ai curricula scolastici, e propone livelli di retribuzione insoddisfacenti.
Quando si apre il capitolo impedimenti all’accesso, si individuano una dimensione soggettiva, la scarsa esperienza e il sentirsi impreparati, e una dimensione oggettiva, il mondo produttivo non valorizza competenze, né disponibilità. Rapporto giovani rileva che tra le aspettative di quelli che cercano lavoro c’è uno slittamento al ribasso: i più qualificati si adattano a lavori non rispondenti alle loro abilità, i meno qualificati vengono messi ai margini.
A partire dalla descrizione della condizione giovanile sono state proposte alcune osservazioni all’applicazione della Garanzia Giovani (Youth guarantee). La giuslavorista Luisia Corazza ha evidenziato alcuni errori strategici: la debolezza strutturale dei servizi per l’impiego, che sono il perno su cui ruota l’efficacia dell’intervento; l’assenza di un raccordo tra mondo dell’istruzione e mondo del lavoro che indebolisce le possibilità di inserire i giovani al termine degli studi; lo scarso pubblicizzazione dell’iniziativa che tende a non essere conosciuta tra i giovani, specialmente dai neet, come si evince dai dati del Rapporto. La Corazza individua nello sviluppo di una relazione tra Regioni e futura Agenzia nazionale la possibilità di una migliore gestione della Youth Guarantee, che potrebbe diventare un’occasione per rivedere le forme di utilizzo dei fondi strutturali europei.
La sociologa Ivana Pais invece ha incentrato il suo intervento sulla fase di accelerazione che vive il mondo della produzione e sulle nuove forme lavorative che prendono piede grazie alla rete. La Pais ha messo in evidenza il passaggio da una logica di azione collettiva a una logica di azione connettiva, che si basa sui legami tra le persone; sul ruolo del coworking che sviluppa luoghi di relazione tra lavoratori free lance e sull’identità degli startupper italiani, tra i quali ci sono più uomini che donne e più laureati, a differenza di quello che accade negli USA. Tra le proposte di politica attiva avanzate segnaliamo la promozione della progettualità e l’incentivazione di costruzione di spazi relazionali.
Per riattivare i giovani un compito importante è del terzo settore. A commento dei dati del Rapporto, Dario Odifreddi, presidente della Piazza dei Mestieri, ha raccontato la possibilità di realizzare una via italiana al mercato duale dove enti formativi e piccole imprese possano mettersi insieme per promuovere lavoro giovanile.
In conclusione Lidia Borzì, presidente delle Acli di Roma, ha sottolineato come alla mancanza di lavoro occorre aggiungere la presenza di una cattiva occupazione e quindi vanno promosse iniziative che educhino i giovani ad una cultura sostenendo un sistema di tutele che comprenda anche politiche di conciliazione vita-lavoro. Solo così si può invertire il trend dell’invecchiamento demografico.