Papa Francesco frequenta i luoghi del Santo d’Assisi, di cui ha preso significativamente il nome, come fosse la sua seconda casa, perché ha bisogno del suo misticismo, vuole inginocchiarsi sulla sua tomba per comprendere le origini della fraternità: ecco perché i testi originali e fondamentali di san Francesco lo ispirano; dopo l’enciclica Laudato sì non c’era altra espressione politica migliore di quella di Fratelli tutti (firmata il 3 ottobre proprio sulla tomba del Santo) ed espressione tratta dalle sue Ammonitiones (6,1, FF 155), dove invita tutti gli uomini e le donne ad amare ogni essere della geografia terreste e del mondo intero. Per questo egli desidera tanto che, in questo tempo che ci è dato di vivere, riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far rinascere fra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità (n. 8). Infatti, l’enciclica, sin dalle prime battute, pone in rilievo come Francesco d’Assisi estendesse la fraternità non solamente agli esseri umani – e in particolare agli abbandonati, ai malati, agli scartati, agli ultimi, andando oltre le distanze di origine, nazionalità, colore o religione – ma anche al sole, al mare e al vento (nn. 1-3). Lo sguardo è quindi globale, universale. E così lo è il respiro delle pagine di Fratelli tutti.
Nella costruzione della fraternità giocano un ruolo molto importante certe virtù che, prima di essere cristiane e francescane, sono umane: l’educazione, l’amicizia, la gentilezza, la pace interiore, la sincerità, la tolleranza, la prudenza, la giustizia, la temperanza, la fortezza, l’equilibrio, la disponibilità all’alterità, la fiducia reciproca. Su queste virtù – già individuate da Aristotele nell’Etica Nichomachea – poggiano i piloni cristiani e francescani della fraternità: accettazione dell’altro, nel senso di ricevere amorevolmente, come fratello, ogni persona nella sua unica singolarità; il dialogo, che contribuisce a stabilire i legami con i quali abbattere i muri delle divisioni, rafforzando il valore delle relazioni (cfr Giornata della pace, 1983); la liberazione interiore, che consente di aprirsi e di immedesimarsi (empatia) nell’altro; il perdono, che, pur sembrando una follia, ispira all’amore infinito di Dio ed è il dono più degno e profondo che possa fare umanamente l’uomo verso un suo simile.
La proposta che Francesco d’Assisi presenta è l’amore che scaturisce da Cristo, nel quale trova significato il nostro essere fratelli tutti. La fraternità francescana, quindi, trova soltanto nel Signore la propria origine: “dopo che il Signore mi donò dei fratelli” (Testamento, FF 116); e, dunque, non è dovuta a sforzi umani, ma è, prima di tutto, un dono di Dio. Lui è l’origine e il fondamento della fraternità che, attraverso la conformazione di Francesco a Cristo (alter Christus), è cosa diversa dalla solidarietà, la quale tende sostanzialmente a realizzare nella società un’organizzazione orizzontale dove tutti risultino uguali, al contrario del principio di fraternità che consente a persone uguali nella loro dignità e nei loro diritti fondamentali di esprimere diversamente il loro contributo e impegno nell’incidere nella società.
Ecco perché la fraternità francescana non si perde nell’astrattismo del “vogliamoci bene”; vive nella concretezza dell’etica dell’alterità, del valore sociale relazionale, dell’uomo che ha a che fare ogni giorno con altri uomini, che considera fratelli, e per loro e con loro condivide tutto il condivisibile, instaurando un clima di amicizia, di empatia, di fratellanza, di fiducia, di semplicità e di pace su cui costruire il modello di comunità umana e del bene comune universale, dove il campo dei diritti e dei doveri dell’uomo si allargano ai diritti dei popoli e delle Nazioni (Sollicitudo rei socialis, 1988, n.33).
Ciò implica che l’attuazione del bene comune trova pienezza non nella somma dei beni individuali di ciascuno, ma del bene di tutti gli uomini e di tutto l’uomo. Concetto già affermato dal teologo francescano Pietro di Giovanni Olivi (1248-1298)1 e ampliato dal confratello Giovanni Duns Scoto (1263/66-1308), secondo il quale il bene comune di una res publica non si misura dal consenso, ma dalla sua legittimazione in quanto autorità costitutiva del bene comune. Da qui la sua tesi che l’uomo viene prima dello Stato e, essendo ontologicamente relazione, si costituisce in comunità per realizzare il bene comune di tutti2. Il vivere bene in società richiede impegno e collaborazione di tutti, ciascuno secondo le proprie capacità per raggiungere il proprio sviluppo; ma è un bene arduo da raggiungere se non è abbinato alla ricerca costante del bene altrui, cioè alla fraternità.
Come la pratica della fraternità fu un’operazione sulla quale la tradizione del pensiero francescano, a partire dal XIII secolo, tentò di innestare lo sviluppo dell’etica mercantile all’interno di una civiltà umanistico-rinascimentale, non è fuori luogo riproporla oggi nell’era post-moderna, post-industriale, post-ideologica, della globalizzazione e del digitale, del disastro ecologico3 e della “modernità liquida”4, di perdita di senso della nostra identità di persone “disassemblate”5.
Il futuro non è una continuazione distaccata del passato senza conseguenze del presente. L’umanesimo francescano offre i presupposti antropologici, sociali e culturali per un cambio di paradigma fondato sulla fraternità. Difatti, secondo Papa Francesco, non avere un progetto condiviso sulla riduzione delle diseguaglianze in un sistema sempre più globalizzato determina “l’economia dello scarto”, dove le stesse persone diventano scarti” e dove la logica acquisitiva moltiplica il bataliano dépense (dispendio)6, ovvero il processo di “eccesso”, distruzione rapida delle risorse.
Ma in che modo un cambio di paradigma economico può instaurare una nuova stagione di sviluppo e di ben-essere, combattendo nel contempo una pandemia, che ha stravolto le idee che una volta costituivano un’eresia della teoria economica?
Papa Francesco il 1 maggio 2019 con un messaggio ai giovani economisti, imprenditori e imprenditrici di tutto il mondo, dal titolo “Economy of Francesco”, lancia una sfida convocandoli ad Assisi – da secoli “simbolo e messaggio di un umanesimo della fraternità” – per fare “un patto per cambiare l’attuale economia e dare un’anima all’economia di domani”. Un evento che permetta di “studiare e praticare una economia diversa, quella che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda”. A causa della pandemia l’incontro, previsto dal 26 al 28 marza 2020, è slittato di qualche mese e si è celebrato dal 19 al 21 novembre scorso, in modalità streaming, alla presenza di 120 Paesi del mondo e oltre 2.000 giovani under 35 anni, che hanno avuto così più tempo per approfondire i 14 “villaggi”, come sono stati chiamati i temi individuati, dai quali è scaturita l’importanza di un ritorno, o meglio, di porre maggiore attenzione all’antropologia economica, all’interazione cioè, tra economia, ecologia integrale e società.
Occorre dire che dell’evento Economy of Francesco ad Assisi, se ne parla poco, ma non perché all’opposto del Forum di Davos7, si afferma che l’attuale economia è obsoleta e c’è bisogno di una svolta radicale, inventando un nuovo modello con regole originali, ma perché forse si corre troppo nel buttare tutto con il rischio – come avverte un proverbio tedesco – di “gettare il bambino con l’acqua sporca”, ovvero disfarsi di cose buone e utili, senza avvedersi di buttar via, con esse, anche ciò che tradizionalmente si è rivelato valido e proficuo per il bene comune. Certamente questo evento ha creato un movimento mondiale di giovani in cammino, che costituisce solo l’inizio di un autentico progetto generativo, laborioso e complesso, ma con la determinazione di avviare la trasformazione dell’attuale assetto di ordine sociale. Con i mattoni si costruisce, ma è grazie alle radici che ci si sviluppa, cioè si progredisce. E per un’impresa del genere le radici sono profonde e assai vigorose. Quando Francesco scelse di vivere in povertà e in minorità si inserì in un mondo che, per certi versi, assomiglia a quello di oggi, almeno per la sproporzione esistente tra ricchi e poveri. La povertà, che è una delle questioni che il Poverello di Assisi sentì e visse maggiormente, era un problema scottante, perché veniva vissuta dal popolo come un disonore, un demerito, una sconfitta. L’impegno francescano per lo sviluppo di istituzioni pre-capitalistiche era finalizzato non solo a non rigettare l’economia, ma a viverla in un orizzonte di sobrietà e di sostenibilità e nella logica della promozione del bene comune.
I pensatori francescani, poveri volontari tra poveri involontari e per necessità, si sono resi utili nel cercare soluzioni teoriche e pratiche per la loro crescita civile, sociale, economica, culturale e religiosa. Hanno studiato l’uso della povertà e ricchezza, che, secondo il pensiero francescano, vanno a braccetto. Per questo essi sono stati i primi economisti dell’Occidente. Hanno scritto i primi trattati di economia. Voluti dal Fondatore in mezzo alla gente e nelle periferie delle città, hanno capito più degli altri la nascente rivoluzione mercantile e hanno dato vita ad un tipo di struttura che era circolare, generando un nuovo concetto di civitas fraterna, fondata su una democrazia della sussidiarietà: autorità politica (Comune), autorità dottrinale (Cattedrale), Mercato (luogo degli scambi e delle relazioni), Società civile (organizzazioni di cittadini che operano per il bene comune fuori dal contesto propriamente istituzionale). I frati non si sentirono a posto con l’elemosina e l’assistenza caritativa, si impegnarono coraggiosamente, sul piano teorico e pratico, ad eliminare le strutture ingiuste nei paesi, nelle città e nelle regioni, ovunque “pellegrini per il mondo”.
Ecco perché la “fraternità universale” di Fratelli tutti è un richiamo forte alla costruzione di un mondo dove ci si prenda cura l’uno dell’altro. Questa consapevolezza di base, che si è perduta da lungo tempo, permetterebbe lo sviluppo di nuove proposte per uscire dalla crisi e ricostruire su basi nuove il rapporto tra economia, politica e società.
Note
1 Cfr De votis, edit a cura di A. C. di Bartoli, Collegio S. Bonaventura (ex PP. Editori di Quaracchi), Grottaferrata 2002.
2 Cfr Quaestiones il Libros Quatuo Sententiarum, Lugduni 169, t.IX, pp.158-160,
3 Cfr PAPA FRANCESCO, Laudato sì, 2015, nn.17-52. Il “consumismo di ogni cosa” sta diventando ai nostri occhi come qualcosa di fatalisticamente ormai inevitabile, qualcosa che appartiene al mondo e non si possa più cambiare; e ciò è agghiacciante”.
4 Cfr le opere di Z. BAUMAN, inventore della metafora della “società liquida” ed a cui si deve la folgorante definizione della “modernità liquida”, caratterizzata da forte instabilità e incertezza, in cui l’essere umano è passato da “produttore” a mero “consumatore”, che trova la sua ragion d’essere e il suo riconoscimento esclusivamente nell’atto del consumo.
5 In inglese desembedded. Termine usato da K. POLANJI, La grande trasformazione, Einaudi, Torino 1974, p. 74: “Non è più l’economia ad essere inserita nei rapporti sociali, ma sono i rapporti sociali ad essere inseriti nel sistema economico”. Il termine è il contrario di embedded che significa che “l’economia dell’uomo, di regola, è immersa nei suoi rapporti sociali”, p. 61.
6 Cfr G. BATTAILLE, Il dispendio, Armando, Roma 1997.
7 Il World Economic Forum è una fondazione senza fini di lucro con sede a Cologny, vicino a Ginevra, in Svizzera, nata nel 1971 per iniziativa dell’economista ed accademico Klaus Schwab.