La legge del 1985 che depenalizzò l’aborto in Spagna, rendendo un diritto quello che fino ad allora era un delitto, prevedeva l’autorizzazione solo nelle ipotesi di malformazione del feto, gravi rischi per la salute psichica o fisica della madre, violenza sessuale.
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Questi limiti giuridici posti dal legislatore alla pratica dell’interruzione di gravidanza sono stati spazzati dalla riforma Zapatero, che sta suscitando una forte alzata di scudi in tutto il Paese, Partito socialista compreso, a causa di una radicale aggressività a-morale, già definita di stampo eugenetico, che la legge presenta.
Vediamone i punti cardine succintamente.
Con la nuova legge si alza la soglia, fino a 14 settimane, entro cui la donna sarà assolutamente libera di scegliere la soppressione del feto.
Con la nuova legge, in caso di malformazione del feto, sarà possibile l’aborto fino alla 22 settimana.
Addirittura, sfidando il ragionevole margine di errore della diagnostica clinica, la legge prevede che – ove venisse diagnostica una patologia incurabile o “incompatibile con la vita del feto” – sarà eliminato ogni limite all’aborto: la selezione della razza – o una mentalità eugenetica di precauzione, come è stata definita da Lucetta Scaraffia – attraverso le pratiche mediche sembra insita nel dettato legislativo di Zapatero.
Ma il punto ancora più preoccupante – per lo sfaldamento di ogni vincolo solidaristico e pubblico della legge – è che le minorenni, dai sedici anni in poi, sono autorizzate ad abortire liberamente, senza più la necessità del parere vincolante dei genitori, ma dietro una mera comunicazione agli stessi: in altri termini, se per un verso il diritto civile ritiene il minorenne privo della capacità giuridica di agire per il semplice acquisto di un bene od una normale transazione patrimoniale – proprio in quanto minore – per converso lo ritiene pienamente capace di agire laddove disponga la soppressione di una vita umana.
La disumana aggressione ai pilastri giuridici della tutela della persona umana di questa riforma ha portato ad una sollevazione dell’opinione pubblica a più livelli.
In Parlamento il Partito Popolare ha già sollevato una eccezione di illegittimità costituzionale della legge, e si auspica la possibile sospensione in via cautelare della stessa legge: infatti la Corte Costituzionale spagnola già con sentenza del 1985 aveva creato un precedente affermando che la vita del non nato (sic) sia un bene giuridico costituzionalmente protetto dall’art.50 della Costituzione, Magna Carta spagnola.
La liberalizzazione del’aborto fino a 22 settimane lascia praticamente il bimbo in grembo privo di protezione, alla mercé della discrezionalità assoluta della madre.
A livello regionale – essendo la Spagna un Paese che al pari dell’Italia ha introdotto una forte autonomia legislativa e amministrativa alle Generalitat (Regioni ndr) – la Navarra ha già presentato ricorso costituzionale contro la riforma Zapataero.
A livello sanitario diverse associazioni che rappresentano i medici contestano al governo il peso insopportabile di una responsabilità che non intendono assumere, ovvero la decisione di sopprimere il feto, in luogo dei genitori o in presenza di malformazioni gravi che pregiudicano la vita.
Sul medesimo piano inclinato si muove la giurisprudenza tedesca, mettendo in discussione il principio consolidato dell’etica medica, ovverosia l’impegno a salvare il paziente e non già a cagionarne la morte.
La Corte di Cassazione tedesca – il Bundesgerichthof – ha emesso il 25 giugno scorso una sentenza che contribuisce nei fatti ad ammettere l’eutanasia in Germania.
La Corte di Cassazione si è espressa sul ricorso avverso una sentenza del Tribunale di Fulda, che aveva condannato l’avvocato Wolfgang Puetz a nove mesi di reclusione in quanto nel 2007 aveva consigliato una cliente di interrompere di persona i trattamenti artificiali di alimentazione e ventilazione della madre, in coma vigile da cinque anni.
La Corte di Cassazione ha affermato che – ove il paziente abbia espresso inequivocabilmente il consenso all’interruzione delle terapie – non sia perseguibile chi stacchi un ventilatore o tagli un tubo dell’alimentazione del paziente medesimo.
Il diritto all’alimentazione e idratazione del paziente, considerati “trattamenti medici forzati” vengono sviliti, ma è bene rammentare al riguardo come molte associazioni di medici in Europa ed in Italia in particolare affermino al riguardo esattamente il contrario – come in occasione della tragica vicenda di Eluana Englaro – ovvero che la sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione a una persona in condizioni generali stabili, in stato di coma permanente da anni, senza l’evidenza di alcun peggioramento clinico che ne indichi l’approssimarsi della fine, è eutanasia, cioè atto dal quale deriva la morte del paziente.
Inoltre: come affermano sia i medici tedeschi dell’Associazione Marburger Bund che i medici italiani di Medicina e Vita, in medicina, il giudizio di irreversibilità di una condizione patologica, qualunque essa sia, non è criterio sufficiente per richiedere la sospensione delle cure: con questa sentenza viene data priorità assoluta a una selezione eugenetica della persona, in base al solo criterio della qualità – soggettiva- della vita.
E’ necessario evidenziare come in questi tragici casi la magistratura, uno dei tre poteri fondanti dello stato di diritto, assuma la surrogatoria pretesa di sostituirsi alla classe medica nello stabilire i criteri valutativi clinici con cui dichiarare non più assistibile un paziente.
Questo discutibilissimo quanto pericolosissimo – sotto i profili giuridico e politico – criterio di funzione “suppletiva” della giurisprudenza, che va in particolare contro ogni codice deontologico della professione medica, ha la presunzione di legittimare nei fatti – oggettivamente – terapie di morte quali l’eutanasia, l’aborto, scavalcando per via “extraparlamentare” la volontà sovrana di ogni popolo, che viene rappresentata dal potere legislativo e non già dalla magistratura, “bocca” e non già “cervello” della legge.
Al riguardo è bene non dimenticare che già negli anni venti del secolo scorso, si sosteneva che “se non c’è più forza per combattere per la propria salute, allora il diritto a vivere viene meno”: queste parole sono rintracciabili nel Mein Kampf, il libro-manifesto del nazismo di Adolf Hitler.
Le dichiarazioni di principio della riforma Zapatero e della sentenza della Cassazione tedesca aprono un ulteriore gravissimo vulnus giuridico nel sistema occidentale in relazione alla questione antropologica così ben definita dal S.Padre Benedetto XVI, e ripropongono una questione dirimente che troppi legislatori e politologi – anche e purtroppo nel mondo cattolico – affrontano con evidente disagio se non ritrosia: la affermazione forte e chiara del rapporto necessario tra norma e morale nello Stato laico, e – di conseguenza – il necessario legittimo contributo dei valori del diritto naturale alla formazione della volontà politica delle leggi.
Come affermava il celebre Alessandro Passerin d’Entreves, la legge non indica solo ciò che è lecito, cioè non è solo la misura dell’agire, ma è anche giudizio sul valore dell’agire. La legge, infatti, indica ciò che è bene e male secondo la società, e a loro volta il bene ed il male sono i presupposti dell’obbligo giuridico.