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Lo scorso gennaio, il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato ha pubblicato le prime stime della localizzazione territoriale della spesa pubblica statale. I dati – che hanno suscitato nel dibattito pubblico preoccupazione per un Paese spaccato tra Nord e Sud in cui il quadro della spesa regionale per abitante e la qualità del welfare fanno emergere mille diversità* – oggi si prestano ad alcuni commenti e, perlopiù, a conferme.

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I dati della Ragioneria si riferiscono alla spesa statale, non a quella di Regioni, Provincie e Comuni, e più precisamente alla distribuzione delle risorse statali in relazione al territorio e non, diversamente, alla spesa complessiva delle Regioni e degli enti locali. Vero è che fra le due grandezze esiste un legame, seppur parziale. Parte delle risorse di cui godono le Regioni e gli enti locali derivano dal riparto di risorse statali, i cosiddetti trasferimenti. Altrettanto vero è che le Regioni e gli enti locali dispongono di risorse ulteriori derivanti dai tributi propri e dalle rendite del patrimonio e del demanio propri, oltre che da fonti di finanziamento derivanti dal mondo creditizio.rn

Quanto alla spesa pubblica statale, le voci principali, ripartite territorialmente, sono quelle relative alla spesa del personale, ai trasferimenti alle Regioni, Provincie e Comuni, per la spesa corrente, e ai contributi per gli investimenti pubblici (e privati), per la spesa in conto capitale.

La prima grande conferma che emerge dai dati della Ragioneria è la disparità nel riparto delle risorse statali fra Regioni a statuto speciale e Regioni a statuto ordinario. Mettendo in graduatoria il valore dei trasferimenti alle Regioni per abitante si nota che le prime cinque posizioni sono occupate dalle cinque Regioni a statuto speciale, con questo ordine: Provincia autonoma di Trento (11.052 euro per abitante), Valle d’Aosta (10.963 €/ab.), Provincia autonoma di Bolzano (8.212 €/ab.), Sardegna (3.162 €/ab.), Friuli Venezia Giulia (2.608 €/ab.) e Sicilia (2.461 €/ab.). La prima delle Regioni a statuto ordinario è il Molise che riceve 2.272 €/ab. e l’ultima il Veneto, con soli 932 €/ab. Questi primi dati fotografano in maniera impietosa la differenza di risorse, e quindi differenza competitiva, delle Regioni a statuto speciale rispetto alle altre.

Queste prime conclusioni devono essere integrate dai dati relativi alla distribuzione per abitante della spesa per il personale statale. In questo settore della spesa pubblica la differenza che emerge non è fra Regioni a statuto speciale e ordinario, bensì fra Nord e Sud. Con la sola eccezione del Friuli Venezia Giulia e del Lazio, sede dell’Amministrazione dello Stato centrale, sono le Regioni del Mezzogiorno a occupare la graduatoria della classifica: Calabria (1.112 €/ab.), Puglia (1.110 €/ab.), Sicilia (1.053 €/ab.), Sardegna (1.051 €/ab.), Campania (1.038 €/ab.) e Basilicata (1.033 €/ab.).

Il profilo da sottolineare è quello relativo alla funzione redistributiva e solidaristica che l’attuale sistema di finanziamento delle istituzioni territoriali svolge. Come si è evidenziato, la distribuzione delle risorse statali alle Regioni e agli enti locali segue solo parzialmente un criterio redistributivo e solidaristico, comprendendo, diversamente, anche quello dell’autonomia speciale. Se il criterio fosse esclusivamente quello della distribuzione territoriale del reddito, al vertice dovrebbero posizionarsi le sole Regioni del Mezzogiorno (cfr., i dati di tale distribuzione pubblicati da il Sole 24 Ore, 22 febbraio 2010, p. 3). La reale funzione redistributiva e solidaristica è svolta dalle spese per il personale dipendente, il cui livello nelle Regioni meridionali è superiore del 20% rispetto alla media nazionale e, addirittura, 4 volte superiore all’ultima, la Provincia autonoma di Trento. L’attuale sistema, quindi, è piuttosto confuso e disorganico perché assegna gli obiettivi perequativi non ai trasferimenti monetari, bensì alle spese destinate allo svolgimento di funzioni statali, tipicamente alle spese per il personale.

Questa situazione dovrebbe essere risolta, almeno in parte, con l’attuazione del federalismo fiscale. La nuova legge sul federalismo fiscale, infatti, non si applica alle Regioni a statuto speciale la cui posizione rimarrà sostanzialmente inalterata. Diversamente, per le Regioni a statuto ordinario, il federalismo fiscale dovrebbe produrre una razionalizzazione del sistema di finanziamento, assegnando la funzione redistributiva e solidaristica esclusivamente al fondo (statale) perequativo, in ragione inversa rispetto alla capacità fiscale per abitante. In questo senso, le regioni con il più basso livello di reddito e consumi riceveranno le maggiori risorse statali. È il caso di osservare, in conclusione, che proprio questa situazione si presta ad abusi. Alcuni territori potrebbe avere interesse a non far emergere tutti i redditi e i consumi per trarre vantaggio dalla distribuzione del fondo perequativo. Un federalismo fiscale equo e solidale si basa anche su un serio contrasto all’evasione fiscale.

Resterà da risolvere la disomogenea distribuzione delle spese per il personale, operazione che richiederà, oltre alla volontà politica, un maggior numero di anni.

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* a tal proposito, si può consultare l’articolo comparso su Repubblica.it il 9 febbraio:
http://www.repubblica.it/economia/2010/02/09/news/spesa_regioni-2231062/

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