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Un’intervista a cura di Tommaso D’Angelo, ispirata dal discorso di papa Francesco al G7, per dialogare sulle sfide antropologiche, sulle quali l’ethos civile dei popoli europei decide il futuro del continente nella complessità delle attuali relazioni internazionali.

Con S.E. Mons. Mariano Crociata, Presidente della COMECE, traiamo ispirazione dal discorso di papa Francesco al G7, per dialogare sulle sfide antropologiche, sulle quali l’ethos civile dei popoli europei decide il futuro del continente nella complessità delle attuali relazioni internazionali.

Ci troviamo in una inedita congiuntura dove sui grandi temi del vivere sociale si riesce con sempre minore facilità a trovare intese. Quali sono secondo Lei le sfide che incidono maggiormente sul vissuto dei popoli e gli ingredienti per rinnovare un patto comunitario in grado di ristabilire la pace?

È proprio vero che ci troviamo dentro una inedita congiuntura. Per quanto si possano fare dei confronti con epoche difficili della nostra storia, quella attuale sembra segnata da aspetti che erano inimmaginabili fino anche solo a poco tempo fa. Se ci fermiamo a considerare la dimensione culturale e spirituale, almeno nel nostro Occidente l’orizzonte della trascendenza sembra semplicemente chiuso, fuori dalla portata di ogni pensiero soprattutto pubblico; la scomparsa delle grandi narrazioni ha destituito di valore ogni discorso su principi e norme morali in grado di valere per tutti, lasciando ciò che conta in balia di un accordo sempre rinegoziabile a seconda delle circostanze e delle convenienze.

Se poi volgiamo lo sguardo alle dinamiche storiche in atto, non possiamo non essere impressionati dal ritorno di guerre e di conflitti economici e politici che sembrava non dovessero più tornare dopo le tragedie belliche del secolo scorso. L’emergere di un mondo multipolare sta avvenendo in un clima dettato da spietatezza e spregiudicatezza, molti (se non tutti) noncuranti degli effetti e delle conseguenze di lungo periodo sul piano delle relazioni tra persone e tra nazioni; c’è una nota di cattiveria, se non di malvagità, in tanti accadimenti odierni che gettano nello sconforto chiunque guardi con un minimo di distacco e di attaccamento all’umano elementare. Ne è un segno inequivocabile la rassegnazione con cui si assiste al superamento ormai abituale dei limiti della guerra fissati dal diritto dei popoli e alla confusione crescente tra guerra e terrorismo.

Se prendiamo in esame le sfide in atto, l’elenco sembra allungarsi senza sosta: dallo squilibrio ambientale, che contribuisce, insieme alla violenza e alla instabilità sociale, all’estendersi della miseria e della fame su intere regioni e al crescere del fenomeno delle migrazioni da un Paese all’altro e da un continente ad un altro. Perché si stabilisca un patto che conduce alla pace ci vuole che gli uomini di buona volontà si riconoscano e formino una rete sempre più forte di solidarietà.

Le minacce generate dall’instabilità geopolitica sembrano trascinare le narrazioni e, con queste, le persone verso la rassegnazione dell’inevitabilità della guerra nei rapporti umani, dalle più intime dinamiche sociali alle istituzioni internazionali. Come far fronte all’apparente necessità di un processo degenerativo? Come si possono intraprendere azioni volte all’avvio di processi comunitari virtuosi?

Bisogna innanzitutto riconoscere il valore e dare forza a ogni iniziativa diplomatica che operi con l’intenzione di fermare la guerra guerreggiata e la violenza endemica in quelle tante regioni della terra in cui esse sono presenti. È vero che nessuna iniziativa diplomatica è priva di obiettivi politici interessati, tuttavia fermare le guerre deve diventare un imperativo dovunque esse siano in atto. Senza un simile elementare obiettivo qualsiasi progetto di costruire buona convivenza è destinato a rimanere frustrato nell’atto stesso di essere pensato. In questo senso, processi degenerativi e processi virtuosi si rincorrono costantemente. Bisogna inserirsi in questa rincorsa con l’intento e l’inventiva di chi non è disposto a rassegnarsi al peggio.

Per avviare processi virtuosi c’è bisogno di formazione e di cultura dell’autentico umano in un tempo in cui tutto sembra poter venire dilapidato, vanificato, banalizzato. Movimenti di opinione sono importanti e tutti gli sforzi attivati nella direzione della pace vanno accolti come una benedizione. Nondimeno gli sforzi destinati a durare e a mettere in moto processi di reale cambiamento sono quelli che plasmano coscienze e comunità solide. Per questo il lavoro educativo e culturale è l’unico efficace, anche se solo sul lungo periodo. Su di esso bisogna comunque puntare.

Questo è un compito che la comunità dei credenti deve sentire come prioritario in ambito sociale e civile. La stessa centralità della preghiera per la pace non va intesa e relegata tra le cose secondarie di pochi pii credenti, ma come un impegno da assumere in tutta la sua portata e capacità di creare mentalità, convinzione, legami, idee, progetti. La preghiera per la pace di un vero credente non è mai un atto rinunciatario né uno scarico di responsabilità, ma un gesto compromettente che fa nascere un vero ed efficace impegno.

Nella Sua esperienza pastorale e nell’attenzione riservata alle dinamiche del vivere civile, come la interroga l’“eclissi del senso dell’umano e l’apparente insignificanza del concetto di dignità umana”? La categoria di “persona umana”, con tutta la portata culturale che la caratterizza, come dovrebbe essere tradotta nell’oggi, in un contesto plurale che sembra aver smarrito le sue radici comuni?

Quella che sembrava un’evidenza che non sarebbe mai venuta meno, appunto la dignità della persona umana e il senso della sua unicità, è entrata in un processo di dissoluzione che sembra destinato a non fermarsi di fronte a nulla. Le evidenze fondamentali non sono riconquistabili con guerre culturali di qualsivoglia genere, vanno invece testimoniate e riproposte entro un contesto e un clima di dialogo rispettoso.

Si è affermato un malinteso senso di rispetto della natura, a cominciare dagli animali, che a molti appare praticabile solo a condizione di sminuire la figura umana, colpevole di uno squilibrio ecologico superabile unicamente con una sorta di riduzionismo dell’umano. Qualcosa di simile accade con la storia, i cui errori umani passati diventano pretesto per demonizzare anche le conquiste che hanno permesso al genere umano di progredire a tutti i livelli della condizione umana e della vita sociale. Il fatto è che è possibile e necessario distinguere.

È proprio dello spirito critico cogliere pregi e valori e stigmatizzare difetti ed errori, e in base agli uni e agli altri guardare avanti. Senza storicizzare si perviene solo a esiti ideologici, cioè al tentativo – sempre fallimentare e tragico – di costringere la realtà dentro idee precostituite e difese per partito preso, fin con la violenza. Senza l’idea di persona tutto si dissolve in un vitalismo senza senso, senza motivo e senza scopo. Che è la stessa cosa del nichilismo.

Le accelerazioni dello sviluppo tecnologico stanno imponendo trasformazioni della quotidianità delle persone e dei rapporti istituzionali. Come vede gli effetti dell’Intelligenza Artificiale sul futuro dell’umanità in relazione alla “sana politica”, di cui ci parla il pontefice? Come si dovrebbe orientare il governo dei nuovi processi e delle questioni etiche che emergono per perseguire il bene comune?

Il Papa ha espresso in maniera compiuta il nostro approccio di credenti al tema dell’Intelligenza Artificiale. Tra altre cose, va notato che essa, come tutte le conquiste del progresso tecnologico, plasma l’ambiente umano e lo modifica profondamente. Dunque non può essere usata alla stregua di uno strumento qualunque, poiché essa entra a far parte delle condizioni di attuazione dell’esistenza umana. Questo richiede un approccio che non si limiti all’utilizzazione delle potenzialità tecniche, ma che vi si rapporti con senso propriamente umano e con coscienza morale adeguata. Ancora di più non si tratta di cercare di limitare, ma di orientare e integrare in una visione umana più ampia.

La coscienza umana, in senso lato e non solo morale, è sfidata ad allargare i propri orizzonti e a cogliere le opportunità di un umano accresciuto. La storia dell’umano come tale ha conosciuto passaggi e salti che ne hanno visto crescere le possibilità di compimento e di bene. La visione cristiana è aperta a tale direzione; essa si proietta su un compimento in cui l’umano non si dissolve ma perviene ad una pienezza che è la destinazione per la quale il creatore l’ha pensato insieme a tutta la creazione.

Chi ha pubbliche responsabilità deve essere aiutato a rapportarsi con queste inaudite innovazioni senza perdere il contatto con la base umanistica di un autentico sviluppo sociale. In questo orizzonte vasto, la legislazione deve sapere guidare con normative adeguate una crescita di cui non si conoscono esiti e sviluppi. L’esempio dell’Unione Europea in tal senso ha il valore di un tentativo di essere lucidamente e con intelligenza presenti a quanto di più avanzato si muove nel grande corpo sociale e dei suoi processi conoscitivi.

Cerchiamo la pace. Come si può educare la dimensione spirituale a stare nella complessità e nelle contraddizioni delle nostre società per partecipare alla vita pubblica e prendere parte per la costruzione di una rinnovata convivenza civile?

La spiritualità cristiana è strutturalmente segnata dal mistero dell’incarnazione. L’approccio più distante e perfino più pericoloso per il cristianesimo è lo spiritualismo disincarnato con il suo rifiuto e il disprezzo del corpo e della materia. La materia è costitutiva dell’evento cristiano e della salvezza che porta. Ciò che non è assunto non può essere salvato, dicevano i Padri della Chiesa.

Bisogna stare dunque dentro le complessità e le contraddizioni, anche a rischio di sporcarsi ma con l’intenzione, la volontà, la cura dell’azione volte a ricondurre tutto a giustizia e verità, alla pace. In questo molti credenti, sotto ogni cielo, stanno mostrando anche oggi grande determinazione nell’adoperarsi per creare e accompagnare processi di riconciliazione. Dimensione spirituale vuol dire parola e preghiera, testimonianza e servizio, incontro e dialogo con tutti, cura dei più deboli e minacciati.

Ci vuole una fede viva e forte che fa stare alla presenza di Dio e inseparabilmente con i fratelli, dovunque si è chiamati a incontrarli. Nella certezza che là dove c’è fede viva, e non solo là, Dio trova spazi accoglienti e fecondi per far produrre frutti di pace.

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