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La tensione tra le esigenze della giustizia e della pace, tutelate dal diritto internazionale, e il dato fattuale costituito dai rapporti di forza percorre tutto il Secondo dopoguerra: un’epoca, non lo dobbiamo dimenticare, in cui per la prima volta nella storia dell’umanità al centro delle relazioni internazionali sono stati posti i diritti umani, la giustizia, la pace. La lotta per l’effettività del diritto, sono compito di ogni generazione, e non possono ripartire che dal basso, dalle scelte quotidiane di ciascuna e ciascuno di noi.

Sotto gli occhi della statua di Gengis Khan, che dall’alto della scalinata del parlamento domina la vasta piazza centrale di Ulan Bator, capitale della Repubblica di Mongolia, il 2 settembre 2024 Vladimir Putin ha ricevuto gli onori che un Capo di Stato russo si aspetta dall’amichevole vicino asiatico. Ma c’è un piccolo particolare, che ha attratto l’attenzione di tutto il mondo su una visita altrimenti di routine.

La Mongolia ha sottoscritto e ratificato lo statuto di Roma, che ha dato vita nel 2002 alla Corte penale internazionale. Ebbene, il 17 marzo 2023, la Camera preliminare della Corte penale internazionale ha emesso i primi due mandati d’arresto a seguito dell’aggressione russa all’Ucraina, a carico, rispettivamente, di Vladimir Putin e Maria Lvova-Belova, Commissario per i diritti dei bambini presso l’Ufficio del Presidente della Federazione Russa. La Camera preliminare ha ritenuto che vi fossero ragionevoli motivi per ritenere che ciascun indagato fosse «responsabile del crimine di guerra di deportazione illegale di popolazione (bambini) e di trasferimento illegale di popolazione (bambini) dalle aree occupate dell’Ucraina alla Federazione Russa, a scapito dei bambini ucraini». La Mongolia, accogliendo Putin, non ha eseguito il mandato d’arresto, violando così i suoi obblighi internazionali.

Questa vicenda, che riveste uno spazio marginale in un mondo attraversato da conflitti, continue violazioni del diritto internazionale, frequenti ribellioni degli Stati alla giurisdizione delle corti internazionali o regionali, è però particolarmente emblematica. Infatti, la Corte penale internazionale è il primo organo giudiziario permanente con giurisdizione internazionale relativamente a crimini contro l’umanità, crimini di guerra, crimini contro la pace e genocidio. Una Corte che rappresenta il culmine di un lungo processo, avviato nell’immediato Secondo dopoguerra a Norimberga, volto ad attribuire la giurisdizione penale su tali crimini a tribunali internazionali. La Mongolia, poi, non è uno Stato canaglia, o uno Stato fallito, né un regime ibrido in mano a forze populiste, ma una giovane democrazia che cerca di mantenersi salda, seppure stretta tra due ingombranti Stati autoritari.

Quale sfida più evidente alla giurisdizione della Corte della visita ufficiale di Putin in Mongolia? Se nei mesi precedenti il Presidente russo si era astenuto da viaggi in Stati parte dello Statuto di Roma, stavolta le esigenze della realpolitik hanno prevalso su ogni altra considerazione. Il governo della Mongolia si è apertamente giustificato, appellandosi alla dipendenza energetica del paese dalla Russia e non sembra timoroso delle conseguenze della sua mossa.

La tensione tra le esigenze della giustizia e della pace, tutelate dal diritto internazionale, e il dato fattuale costituito dai rapporti di forza percorre tutto il Secondo dopoguerra: un’epoca, non lo dobbiamo dimenticare, in cui per la prima volta nella storia dell’umanità al centro delle relazioni internazionali sono stati posti i diritti umani, la giustizia, la pace. Un’epoca in qualche modo ‘miracolosa’, nella quale visioni che fino a quel momento erano rimaste nella dimensione dell’utopia o della profezia sono state tradotte in norme giuridiche, sia a livello internazionale che domestico, attraverso le costituzioni democratiche.

Ci sono volute le tragedie e gli orrori del ‘secolo breve’ per compiere un salto di qualità, ovvero per avviare un percorso volto a mettere da parte i nazionalismi e gli statualismi che avevano portato alle due guerre mondiali e all’annientamento della dignità della persona umana. Il diritto è così diventato lo strumento per costruire un ‘mondo nuovo’ (per dirlo con le parole del titolo di un bellissimo libro di Mary Ann Glendon, dedicato proprio ai protagonisti della scrittura della Dichiarazione Universale dei diritti umani delle Nazioni Unite, del 1948: M. A. Glendon, Verso un mondo nuovo. Eleanor Roosevelt e la Dichiarazione universale dei diritti umani (2001), ed. it. liberilibri, Macerata, 2008), attraverso la creazione di organizzazioni internazionali e regionali, l’adozione di trattati sui diritti umani, l’istituzione di tribunali internazionali e regionali.

La Costituzione italiana ben simboleggia, nel suo articolo 11, le speranze di questa epoca, e la connessione tra garanzia della pace e nuovo ordine internazionale: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Come ha messo in evidenza Papa Francesco, “per decenni è sembrato che il mondo avesse imparato da tante guerre e fallimenti e si dirigesse lentamente verso forme di integrazione” (Fratelli tutti, 10).

Ma così non è stato. Sempre l’Enciclica Fratelli tutti dedica accorate e lucide parole agli eventi degli ultimi decenni. “Ma la storia sta dando segni di un ritorno all’indietro. Si accendono conflitti anacronistici che si ritenevano superati, risorgono nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi. In vari Paesi un’idea dell’unità del popolo e della nazione, impregnata di diverse ideologie, crea nuove forme di egoismo e di perdita del senso sociale mascherate da una presunta difesa degli interessi nazionali” (Fratelli tutti, 10).

Che fare, come dare effettività al patrimonio di strumenti normativi che sono stati pazientemente costruiti in questi decenni, attraverso l’opera instancabile di tante e tanti protagonisti, che spesso hanno pagato per questo un prezzo altissimo, anche la vita?

In primo luogo, occorre ricordare, lo dico ancora con le parole di Papa Francesco, che «ogni generazione deve far proprie le lotte e le conquiste delle generazioni precedenti e condurle a mete ancora più alte. È il cammino. Il bene, come anche l’amore, la giustizia e la solidarietà, non si raggiungono una volta per sempre; vanno conquistati ogni giorno. Non è possibile accontentarsi di quello che si è già ottenuto nel passato e fermarsi, e goderlo come se tale situazione ci facesse ignorare che molti nostri fratelli soffrono ancora situazioni di ingiustizia che ci interpellano tutti» (Fratelli tutti, 11).

Se l’attivismo delle nuove generazioni è la risorsa indispensabile, perché la ricchezza che ci è stata tramandata deve essere oggetto di una personale riconquista, che implica una mobilitazione della società in tutte le sue componenti, credo che occorra muoverci anche in un’altra dimensione.

Come ha scritto Norberto Bobbio riguardo ai diritti dell’uomo, ma questa considerazione vale anche per la giustizia e la pace, si tratta di ideali che rovesciano completamente il senso del tempo, perché si proiettano sui tempi lunghi, e solo alcuni ‘segni premonitori’ possono farci presagire l’esito, secondo la kantiana visione profetica della storia (N. Bobbio, I diritti dell’uomo, oggi, in Id., L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 1990 p. 269). Ecco, uno sguardo capace di cogliere i segni premonitori, in una storia che resta dominata dalla volontà di potenza è un altro strumento indispensabile per non arrenderci di fronte alla inesorabile realpolitik. E i tempi lunghi dei diritti dell’uomo sono fatti non soltanto di indubbi, importanti successi, testimoniati da dati inequivocabili (sul declino della violenza, sulla pena di morte, la schiavitù, i diritti delle donne, come mostra bene il volume di Kathryn Sikkink, Evidence for Hope. Making Human Rights Work in the 21 Century, Princeton, Princeton University Press, 2017), ma anche di piccoli segni. “Dopo tutto, dove iniziano i diritti umani?” – si chiese Eleanor Roosevelt in uno dei suoi ultimi discorsi alle Nazioni Unite, il 27 marzo 1953 – “Nei piccoli luoghi vicino casa, così vicini e così piccoli da non potersi individuare su nessuna mappa del mondo. Eppure, essi sono il mondo delle singole persone: il quartiere in cui si vive, la scuola che si frequenta, la fabbrica, la fattoria o l’ufficio in cui si lavora” (M. A. Glendon, Verso un mondo nuovo, p. 408). La ricerca della pace e della giustizia, la lotta per l’effettività del diritto, sono compito di ogni generazione, e non possono ripartire che dal basso, dalle scelte quotidiane di ciascuna e ciascuno di noi.

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