In un suo famoso scritto di prospettiva “Economic possibilities for our grandchildren”, uscito nel 1930, John Maynard Keynes prevedeva che il progresso tecnologico e l’aumento della produttività avrebbero ridotto significativamente l’orario di lavoro riportandoci ad una condizione in fondo simile a quella dell’Antica Grecia dove gli uomini liberi si dedicavano alla filosofia e gli schiavi lavoravano. Solo che in questo caso il ruolo degli schiavi sarebbe stato sostituito da quello delle macchine.
La profezia di Keynes sembrava passata di moda negli scorsi decenni perché la riduzione dell’orario di lavoro non aveva seguito gli aumenti di produttività correttamente previsti. Con l’avvento dell’intelligenza artificiale forse la profezia si fa più vicina e rischia di avverarsi. Tanto che qualche tempo fa il fondatore di Microsoft Bill Gates ha reso nuovamente attuale la profezia Keynesiana affermando che l’intelligenza artificiale produrrà una tale rivoluzione in termini di produttività da consentirci di lavorare tre giorni a settimana.
Quando si fanno questi ragionamenti bisognerebbe considerare che l’economia è un sistema molto complesso e multisettoriale fatto da manifattura, agricoltura, allevamento, servizi ma anche istruzione, sanità e industria del tempo libero (turismo, sport, spettacoli). Quello che pare intravedersi all’orizzonte se anche solo una parte della profezia si avvererà è senz’altro una riduzione del fattore lavoro necessario per produrre in manifattura (e ora anche nei servizi con l’AI) ed un progressivo aumento del tempo libero che stimolerà l’espansione di quei settori della vita sociale sui quali la domanda di tempo libero si riversa.
Per capire tutto questo partiamo dal dato delle caratteristiche dell’intelligenza artificiale e dei suoi effetti in attesi in economia. Se con la rivoluzione della rete avevamo improvvisamente azzerato tempi e costi di spostamento delle merci senza peso (musica, dati, suoni, immagini) creando un villaggio globale digitale che ci ha consentito di accedere e di scambiare istantaneamente tali merci, con l’intelligenza artificiale saremo affiancati da agenti artificiali capaci di apprendere e di aiutarci in molte delle nostre mansioni (dal medico per tener conto probabilisticamente di tutti i possibili casi e della letteratura per fare una diagnosi, al dipendente pubblico che potrà essere coadiuvato e in parte sostituito nella redazioni di atti o documenti, al giudice che potrà avvalersi del patrimonio di sentenze su una determinata materia).
Secondo la società di consulenza globale Gartner l’AI nei prossimi anni creerà centinaia di milioni di posti di lavoro nel mondo. Non è detto che tali posti di lavoro verranno occupati perché non è detto che chi vorrebbe farlo possiederà le competenze adeguate. In futuro infatti l’ambiente di lavoro nel quale è prevista l’interazione tra lavoratore umano e suo robocollega diventerà l’ambiente di lavoro standard. Il team tra lavoratore e robocollega sarà più competitivo degli umani senza tecnologia e della tecnologia senza umani. Allo stesso tempo molte mansioni tradizionali andranno in crisi e ciò accadrà soprattutto per quelle dove lo specifico dell’umano rispetto alla macchina è meno essenziale. Pensiamo alle previsioni del tempo (bastano modelli matematici, ancorchè complessi, adattivi), alle traduzioni in lingua (le macchine migliorano sempre di più da questo punto di vista e già oggi è possibile essere tradotto online in tutte le lingue quando si parla nella propria), alla redazione di articoli di giornale. Dove invece l’umano manterrà il suo vantaggio è nella capacità d’interrogarsi sul bene o sul male delle scelte e sulle relazioni interpersonali. E’ pertanto prevedibile che settori come quelli dei servizi alla persona assieme a quelli in grado di rispondere alla crescente domanda di tempo libero saranno i settori maggiormente gettonati.
La questione economica fondamentale attorno all’intelligenza artificiale può essere riassunta in questo modo. Nonostante la nostra inclinazione a pensare che il progresso tecnologico riduca o addirittura porti alla fine del lavoro sinora è sempre successo il contrario. Ogni ondata di progresso tecnologico ha aumentato la produttività, con esso la ricchezza e la domanda che si è riversata su nuovi settori, nuovi beni e nuovi mestieri. Complessivamente dunque i posti di lavoro aumentano (come è successo a livello mondiale negli ultimi anni) e come si prevede accadrà anche questa volta. L’errore di prospettiva nasce dal fatto che un osservatore comune vede settori che diventano obsoleti ma non è in grado né di osservare direttamente né di calcolare la differenza tra posti creati e posti distrutti, differenza che è sempre positiva. Il rischio che invece corriamo seriamente è quello del mismatch, ovvero della compresenza di disoccupati e di posti di lavoro vacanti. Se per intenderci le dattilografe con il passaggio alla video scrittura non imparassero ad usare il computer osserveremmo tanti disoccupati e tanti posti di lavoro vacanti contemporaneamente.
Il problema del mismatch si affronta con politiche del lavoro che puntano con decisione alla qualificazione della manodopera in modo da favorire la loro riallocazione dai vecchi ai nuovi settori. Il PNRR nel settore lavoro punta chiaramente in questa direzione finanziando sia la creazione di piattaforme digitali in grado di incrociare in modo sofisticato domanda ed offerta sia tutti quei processi di formazione che favoriscono la riallocazione tra settori.
L’altro grande problema della rivoluzione dell’AI sarà la tendenza alla crescita delle diseguaglianze. Ad ogni fase di rivoluzione tecnologica infatti la nuova ricchezza creata dagli aumenti di produttività, a meno di serie e profonde politiche redistributive, si concentra nelle mani dei proprietari o degli azionisti delle nuove tecnologie e in quelle dei lavoratori ad alta qualifica e specializzazione capaci di utilizzarle (nel nostro caso lavoratori capaci di interagire ed addestrare robocolleghi). Questo ci spinge a pensare che la questione numero uno di politica economica dei prossimi anni sarà quella della distribuzione del reddito. Spesso quando si parla superficialmente di diseguaglianza si tende a pensare che essa sia in fondo un fenomeno positivo se non crea maggiore povertà. Se tutti crescono ma alcuni più di altri in fondo poco male. Di fronte a quest’atteggiamento dobbiamo intanto rilevare che la diseguaglianza recente non ha seguito queste dinamiche ma ha creato una forbice nella quale molte più persone sono finite sotto la soglia di povertà. Con alcuni lavori di ricerca abbiamo inoltre dimostrato come la diseguaglianza e la sua percezione sia una delle determinanti della decisione di non votare e del complottismo, ovvero dell’adesione a teorie che ipotizzano che dietro le scelte politiche, la verità scientifica e le epidemie come il COVID ci sia un piccolo gruppo di potenti che manipola le vicende del mondo a proprio piacimento. Il complottismo che riguarda quasi un terzo degli europei crea effetti collaterali indesiderati come la sfiducia nelle istituzioni ed atteggiamenti di rancore che possono sfociare in violenza verso i capri espiatori ritenuti responsabili del complotto.
E’ per questi motivi che la rivoluzione dell’AI deve essere accompagnata da politiche di redistribuzione ex post (fiscali progressive in un quadro di armonizzazione fiscale che scoraggi elusione ed evasione) e da politiche redistributive ex ante (accesso a sanità pubblica e a istruzione). Per guardare al futuro migliore possibile dell’intelligenza artificiale in fondo bisogna guardare alla più grande conquista economica del nostro paese, il sistema sanitario nazionale dove la libertà di accesso alle cure si combina con una qualità tecnologica impressionante se guardiamo a punte di eccellenza come le sale operatorie nei migliori centri o a prodotti apparentemente banali come letti per piaghe antidecupido in terapia intensiva che capiscono dove sta il dolore del paziente e si sgonfiano e rigonfiano in diversi punti per generare sollievo e conforto. Guardando al sistema sanitario nazionale, possiamo ottenere il meglio dell’Ai quando le sue scoperte sono finalizzate a scopi positivi (in questo caso la salute) e il loro godimento è disponibile per tutti indipendentemente dal reddito non generando e non approfondendo dunque diseguaglianze. Un modello straordinario a cui tutte le applicazioni future d’intelligenza artificiale dovrebbero tendere.
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