Voglio anzitutto ringraziare per l’opportunità che mi è concessa di prendere la parola. Desidero proporre alla vostra attenzione un breve intervento, costituito da una premessa e alcune considerazioni. Abbiamo scelto di dedicare questa quarta edizione della Summer school al tema del protagonismo delle comunità locali per un tempo nuovo, protagonismo auspicato lungo una direttrice che descrive la nostra idea di futuro e perciò a servizio di un tempo chiamato a congiungere dignità, ascolto e coraggio dell’immaginazione.
Il Presidente della Fondazione Grandi Santino Scirè concluderà i lavori con un intervento volto a proporre una lettura assai originale del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ad un tempo manifestazione di una Europa generativa e strumento creato appositamente per riaccendere il motore dello sviluppo italiano – e degli altri Paesi membri dell’Unione che intendano avvalersene – ripartendo per l’appunto dalle rispettive Comunità.
Su tali temi io intendo perciò limitarmi qui ad un’esortazione. Credo che davvero il Regolamento europeo n. 241 del 2021, del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea, che ha istituito il dispositivo per la ripresa e la resilienza, e con esso il cosiddetto Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza, costituisca per così dire una pressoché perfetta rappresentazione dell’identità europea, nell’affiancarsi sussidiario dei diversi soggetti che la costituiscono, perché vi è anzitutto chiara l’idea d’Europa alla quale i principi e valori di cui alle disposizioni comuni del Trattato sull’Unione europea fanno espresso riferimento e cui tutti noi europeisti crediamo; ma poi costituisca anche l’idea di Paese che ogni Stato membro deve avere di sé stesso per presentare il Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Per questo a me pare che il leggerlo, e poi anche rileggerlo, costituisca perfino un dovere civico e morale, ma in ogni caso un nostro specifico interesse, perché lì c’è anche quello che i Governi devono fare, e quindi ciò che le rispettive Comunità devono verificare che si faccia… parola per parola. Senza peraltro potersi trascurare, per quanto direttamente ci riguarda, che, se non saremo attenti noi stessi, comunque gli Stati cosiddetti frugali dell’Europa saranno puntuali nel verificare il work in progress e se (anche questa volta) l’Italia sia o non sia adeguatamente attenta alle disposizioni di un Regolamento europeo.
Desidero invece ritornare anzitutto alle assai autorevoli parole di Monsignor Libanori, e attraverso esse ad uno dei temi ispiratori appunto di questa due giorni: le Poleis. Cerco di ricordare a me stesso con una certa frequenza che le Poleis sono sì quelle terrene, ma è anche – e soprattutto! – quella celeste, Polis che per includere ha segno l’incarnazione del figlio di Dio ed una croce. Per includere! Quella è la Polis che noi cristiani siamo chiamati a testimoniare e a costruire, che desideriamo testimoniare e costruire, anche prendendo la nostra croce: che è del demone della paura, che tutti tenta ed affligge, è del fallimento, è dell’impolitico…
A questa vocazione si deve il nostro promuovere la discussione sulla politica come incontro, e poi ancora il diritto-dovere di costruire una bussola per i cristiani in politica – rileggo interpretandolo il titolo del tema cui è dedicata l’odierna sessione di lavoro; argomenti che sono correlati evidentemente agli altri, del nuovo impegno di persone e comunità per un tempo nuovo e di quali siano i luoghi e gli spazi, per così dire, della dignità, sui quali abbiamo organizzato la nostra discussione in questa edizione della Summer school.
Si tratta di temi che vanno inquadrati attraverso quella premessa che ho fatto sulla pluralità e sulla conseguente vocazione a mantenere, esercitandola, la cittadinanza di entrambe le Poleis. Premessa che naturalmente è per un verso ontologica, e per l’altro verso metafisica. Noi aderiamo ad entrambe, dobbiamo sempre averlo presente. Non è casuale che proprio ieri abbiamo parlato di esclusione e di inclusione, della capacità, del desiderio di cittadinanza. Desiderio di quella cittadinanza costruita sulla fondamentale unità ontologica dell’uomo e del cittadino, rispetto ai quali ai margini della Città restano solo le belve e gli dei…
Beh, guardate, la Politica come incontro è quella che la Fondazione Grandi e le ACLI hanno voluto testimoniare in questa bellissima due giorni di Summer school – permettermi di dirlo in assoluta sincerità e senza alcuna volontà di compiere un auto incensamento. Questo nostro stare insieme appare, è davvero bello, forma di quella bellezza che siamo convinti possa salvare il mondo. Al di là del nome, infatti, questa due giorni di Summer school è stata una costruzione di spazio e dibattiti pubblici: incontro di uomini, di cittadini, di cristiani, consapevoli di questa identità plurale di ciascuno di noi: Persone!
Incontro che è stato anche il venirsi fisicamente incontro, gli uni agli altri, e convenire tutti nella bellezza della Città eterna, a Roma, Città davvero meravigliosa… Incontrarsi nel desiderio di costituire un’agorà, con la piena e matura consapevolezza che la partecipazione dei Cristiani alla vita della Polis – lo ricordava appunto Monsignor Libanori ad inizio dei lavori di questa mattina – è da intendere come svolgimento della missione affidata al libero accoglimento di tutti i fedeli laici, secondo i talenti ciascuno. Anche questo dobbiamo ricordare e portare per così dire in dote al mondo della politica; ricordare e testimoniare: prima di entrare, durante l’ingresso e una volta entrati in Politica.
Si impone qui il richiamo del chiaro insegnamento di Papa Francesco, che pure Monsignor Libanori ha ripreso nel suo intervento: se i cristiani si disimpegnassero dall’impegno diretto nella politica ciò sarebbe tradire la missione dei fedeli laici, chiamati ad essere sale e luce del mondo anche attraverso questa modalità di presenza.
Sale e luce, appunto, per gli altri, nel mondo.
Venire di nuovo incontro, ad altri questa volta: a quanti sono avviliti, impauriti, annichiliti dalle sofferenze di questi tempi, a quanti hanno perso la loro dignità, anche di animali politici, e abbandonato ogni forma di partecipazione, chiudendosi con rabbia nella protesta e smarrendo la vocazione, appunto politica, della condizione umana (alla quale magistralmente ci richiama la lezione di Hannah Arendt), che quella dignità pretenderebbe di porre in atto.
A quanti hanno ritenuto di individuare nella politica e nella democrazia addirittura i problemi anziché gli orizzonti, ancora una volta ontologici, propri di ciascuno, e le vie per risolvere quei problemi. A quanti per tali vie sembrano smarrire i confini fisici e identitari delle Poleis, terrene, e persino di quella celeste, cui apparteniamo.
Costruire una bussola per i cristiani in politica, e poi inclusivamente per tutti gli uomini comporta allora di dover anche richiamare il significato del vocabolo Politica, fare una ricerca genealogico-concettuale della Politica, per dirla con Dolf Sternberger, con l’obiettivo di riappropriarsi di quel nome per tutti i tempi attraverso la definizione del suo concetto.
Questo itinerario è evidentemente fondamentale in un tempo in cui la Politica sembra invece sembra aver smarrito un orizzonte di senso; e in cui nell’antipolitica sembra compiersi l’oblio nichilista, l’enfatizzazione paradossale della condizione di chi non è della Polis o resta ai margini della Città, e in quella condizione esistenziale solo può essere, o divenire, belva o dio. E ha rinunciato, restando ivi confinato, alla vocazione specifica della propria umana natura. Ѐ da qui, essenzialmente e con dinamiche che meriterebbero ovviamente delle analisi assai più specifiche, che traggono la loro origine i vari problemi della disaffezione, della crisi della democrazia, dell’astensione da ogni partecipazione alla vita pubblica.
La politica è manifestazione naturale dell’esistere dell’uomo tra e insieme ad altri, dunque co-esistere. Essa è segno di una naturale vocazione, quella che è appunto di ogni uomo di essere nella Polis, spazio ideale prima che fisico in cui la insufficienza di ogni persona a sé stessa incontra quella speculare di ogni altra e ne diviene subsidium, aiuto. È questo un contrassegno della condizione umana, che si manifesta persino nella nascita, unione e “subsidium” dei genitori, due altri da sé, e pure condizione necessaria del nostro – di ciascuno! – venire in essere al mondo.
Ecco allora, come emerso nei contributi della giornata di ieri, le parole del Papa, bussola viva e Parola, che sempre orienta e deve orientare ogni uomo voglia porsi in ascolto; ogni uomo, non solo i cristiani ma ogni uomo. Parole che ci appaiono nella loro capacità rivoluzionaria ed evocatrice di senso: anche le fragilità di periferie e le povertà sono una ricchezza per la città perché mettono in luce le fragilità di tutto il contesto e del modello di sviluppo e chiariscono il significato universale della sussidiarietà, che è vocazione di ogni uomo a farsi prossimo, a manifestare la solidarietà: a chi appartiene alla propria famiglia – a cominciare dalla madre che nutre il figlio neonato, per proseguire con l’esempio della insufficienza originaria a se stessi – a chi appartiene alla propria comunità locale, e via via all’intera comunità degli uomini. Amministrare e poi anche governare le comunità è, dovrebbe essere, farsi pater familias, genitore, che intellige dove e quale sia il bene comune, ed educa, promuove la costruzione di valori e principi nell’animo dei familiari, protegge e si occupa del sostentamento dei familiari.
Il senso stesso della politica è allora l’incontrarsi, nel senso di condizione antropologica e sociologica che si realizza comunque nel venire e nell’essere in relazione e attraverso e con gli altri essere al mondo: ecco lo specifico dell’incontro che si pone a fondamento della Politica!
Mi tornano alla mente le domande che sono conseguenti quella prima e fondativa su che cosa sarebbe avvenuto se Gesù a Gerusalemme avesse vinto, se il suo regno fosse divenuto (anche) di questo mondo. Ѐ di nuovo Sterbenrger a suggerirle: avrebbe cacciato i sacerdoti dal Tempio, come fece con i mercanti? Avrebbe tenuto giudizio sul posto, come annunciato per il giorno del secondo avvento, il giorno del giudizio universale? Avrebbe concesso il diritto di cittadinanza nel suo regno unicamente a coloro che avevano creduto in lui il Messia, chiunque fossero, fanciulli, poveri, lebbrosi, l’adultera, il ladrone sulla croce? Avrebbe bandito o addirittura soppresso gli altri? L’agnello di Dio si sarebbe trasformato in un lupo di Dio?
Chiudo riportandomi alla premessa: la libertà della condizione umana è data nelle Poleis, plurali, quelle terrene e quella celeste, la quale, per aprire all’inclusione universale, ha assunto a suo segno costitutivo l’incarnazione del figlio di Dio ed una croce piuttosto che la vittoria di Gesù a Gerusalemme.
Sta in questa consapevolezza la speranza e il desiderio personale che l’attività della Fondazione Grandi e delle Acli riescano ad essere generativi di nuovi incontri capaci di trans-formare il lievito e la farina dei nostri tempi e riabilitare la naturale e specialmente cristiana vocazione politica dell’uomo. Proprio qui il modello di razionalità occidentale, che fa del Nomos il fondamento dell’ordine, si rivela pienamente coerente con la manifestazione del Logos che rende libero e include ogni uomo.
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