Quando aggiungiamo l’aggettivo integrale alla parola ecologia intendiamo dire che oggi non possiamo considerare la dimensione ambientale senza preoccuparci delle ricadute su quella sociale e sulla soddisfazione e ricchezza di senso di vita delle persone. Altrimenti saremmo come medici che prescriviamo una medicina contro una grave malattia (ovvero il problema ambientale nelle sue diverse dimensioni che includono il riscaldamento globale, la biodiversità, il problema della qualità dell’aria) senza preoccuparci degli effetti collaterali della medicina stessa.
La transizione ecologica per avere successo e non creare rivolte sociali stile gilet gialli deve essere equa e non ricadere su famiglie e imprese.
L’obiettivo per evitare la catastrofe climatica è chiaro e stabilito. Dobbiamo azzerare entro il 2050 le emissioni nette di anidride carbonica sapendo che esse provengono da alcune grandi fonti (industria, agricoltura e allevamento, mobilità e trasporti, riscaldamento/raffreddamento degli edifici e fonti di produzione di energia). Il collo di bottiglia su cui intervenire con massima urgenza è quest’ultimo perché se anche usiamo tutti macchine elettriche (facendo già un progresso importante per la maggiore efficienza energetica dei motori elettrici rispetto a quelli a scoppio) restiamo comunque col problema delle emissioni se la produzione di energia elettrica avviene utilizzando fonti fossili. Dobbiamo inoltre portare avanti la rivoluzione dell’economia circolare che significa disallineare la produzione di valore economico dalla distruzione di risorse naturali, cosa indispensabile su un pianeta di 7,8 miliardi di persone con una vita media di 73 anni (un totale di più di 320 miliardi di anni di vita potenziali in più rispetto alla situazione dell’anno 0 quando eravamo 230 milioni e vivevamo in media 23 anni).
Economia circolare significa concretamente aumento di materia seconda (riuso/riciclo) utilizzata come input, allungamento della durata di vita media dei prodotti, aumento efficienza utilizzo dei beni di consumo strumentali (sharing) e gestione ottimale dei rifiuti. Per raggiungere questi grandi obiettivi è sbagliato ed illusorio pensare che tutto possa arrivare dal coordinamento delle decisioni delle autorità politiche che guidano gli stati nazionali nei grandi vertici sul clima. Per questo ho parlato di “errore di Greta” che dovrebbe rendersi conto di aver attivato un grande potere dal basso che può e deve essere utilizzato per stimolare i cambiamenti di comportamenti di imprese ed istituzioni attraverso il voto col portafoglio. I responsabili delle istituzioni infatti si muovono molto più facilmente se vedono consenso dal basso. Nella logica dell’economia civile dunque i cambiamenti sono realizzati sempre col concorso di quattro mani (meccanismi di mercato, cittadinanza attiva, imprese responsabili e istituzioni lungimiranti che sanno mettere in moto le migliori energie della società civile e delle imprese con le loro decisioni politiche). In questi meccanismi di azione a quattro mani la leva del voto col portafoglio è fondamentale.
Il sistema economico e sociale si regge sul funzionamento dei mercati e i mercati sono fatti da domanda ed offerta. Noi siamo la domanda e se ci rendiamo conto del nostro potere e lo utilizziamo ogni giorno per premiare con le nostre scelte le aziende leader nella capacità di coniugare creazione di valore economico con dignità del lavoro e sostenibilità ambientale il mondo cambia da domani. Come è noto gli ostacoli al voto col portafoglio sono quattro: la mancanza di consapevolezza dei cittadini del potere che hanno, i limiti di informazioni disponibili sulle caratteristiche di responsabilità sociale ed ambientale dei prodotti, la difficoltà di coordinare le scelte di tanti piccoli (se sono da solo a votare col portafoglio il valore generativo per me di ciò che faccio resta ma il cambiamento politico non si produce) e le differenze di prezzo che spesso esistono tra prodotti sostenibili e prodotti tradizionali.
In campo finanziario il voto col portafoglio sta vincendo e diventando mainstream (almeno a parole). L’azione di venti anni fa di pionieri come Etica sgr che hanno iniziato ad escludere dai loro portafogli titoli le aziende con standard ambientali e sociali troppo bassi è oggi seguita dalla gran parte dei fondi d’investimento sul versante ambientale. La svolta è stato essersi resi conto che avere in portafoglio titoli di aziende a bassa sostenibilità ambientale è estremamente rischioso per il futuro. La trasformazione è così travolgente che le istituzioni europee hanno emanato direttive per verificare la trasparenza delle dichiarazioni dei fondi che si autoproclamano green ma i rischi di washing e di scandali reputazionali restano dietro l’angolo.
La rivoluzione della finanza è stata possibile perché i quattro ostacoli sono in questo caso superati. I fondi d’investimento che guidano le operazioni sono consapevoli, acquistano tutte le informazioni di cui hanno bisogno sui rating sociali ed ambientali delle imprese, non devono coordinare le scelte di tanti piccoli risparmiatori perché hanno già avuto da loro mandato fiduciario a procedere e hanno verificato che i rendimenti corretti per il rischio dei fondi etici sono non significativamente diversi da quelli dei fondi tradizionali (dunque in sostanza non ci sono differenze di convenienza tra i due prodotti).
Quello a cui ora dobbiamo lavorare è la realizzazione di un’analoga rivoluzione sui consumi. Le tecnologie e gli strumenti per realizzarla ci sono tutti. Le piattaforme online di consumo responsabile (come ad esempio quella di www.gioosto.com) ci sono e consentono ai cittadini di votare col portafoglio senza costi di ricerca e istantaneamente. Le storie come quella della Marca del Consumatore (Qui est le patron?) in Francia spiegano come i consumatori possono creare associazioni in grado di costruire i loro prodotti d’accordo con i produttori su standard sociali ed ambientali più elevati a prezzi sostenibili vendendoli poi in tutte le catene della grande distribuzione. Allargando lo sguardo al di là del consumo c’è l’opportunità per gruppi di gestire e valorizzare beni comuni abbandonati utilizzando il regolamento Labsus approvato da gran parte dei comuni italiani o la possibilità di creare comunità energetiche diventando prosumer di energia, ottenendo in questo modo tre benefici fondamentali (riduzione del costo della bolletta, premio per l’autoconsumo, vendita dell’eccedenza prodotta in rete) e contribuendo all’obiettivo di ridurre il collo di bottiglia nella produzione da fonti rinnovabili
Quello che oggi manca è un piccolo gruppo organizzato ed agguerrito di cittadini responsabili che sfruttano ed utilizzano tutte queste opportunità.
Nel percorso delle Settimane Sociali abbiamo lavorato su questo fronte promuovendo le agorà digitali (liste whatsapp di partecipanti che restano comunità a distanza lavorando sul tema del bene comune) e lanciando l’appello alla costruzione di comunità energetiche in ogni parrocchia. Nel lavoro sui territori con NeXt, l’associazione di terzo livello che ha al suo interno 45 associazioni e reti della società civile promuoviamo sul campo questa trasformazione lavorando nelle scuole, università e promuovendo hub per l’innovazione. Con la Scuola di Economia Civile portiamo avanti il percorso di formazione e ricerca sulla costruzione del nuovo paradigma economico a quattro mani.
E’ tutto pronto. L’unica cosa che manca è l’impegno e l’attivismo dei cittadini. Non è facile produrre la scintilla che fa passare dal rancore e la passività di chi vede solo grandi poteri che decidono e grandi complotti alla fiducia e alla speranza della cittadinanza attiva. Ogni giorno proviamo a promuovere questo cambiamento lavorando nel mondo della comunicazione e raccogliendo (come fatto nelle settimane sociali di Cagliari e di Taranto) buone pratiche che ci fanno capire come già oggi in molte parti del nostro paese esistono pratiche innovative che sperimentano e mettono in campo la nuova economia.
Alcuni lavori empirici recenti sottolineano come la generatività sia uno dei fattori fondamentali per la soddisfazione e ricchezza di senso di vita. La felicità intesa come progetto di vita generativo esiste ma è faticosa e per questo non alla portata di tutti coloro che non accolgono la sfida di mettersi in cammino. Ciò che dobbiamo riuscire a fare nei prossimi mesi ed anni è dimostrare quanto questo sia bello e “redditizio” dal punto di vista della soddisfazione di vita individuale per vincere la sfida di generale la massa critica necessaria per vincere la sfida della transizione ecologica e del bene comune.
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