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La crisi finanziaria globale è il risultato di una follia culturale secondo la quale sistemi complessi e caratterizzati da fortissime asimmetrie informative avrebbero funzionato meglio se deregolamentati.

rnE’ un po’ come decidere di regolare il traffico di una metropoli spegnendo i semafori e togliendo i vigili dalle strade.

 
Una discreta prontezza nel varare alcune misure tampone (soprattutto quelle relative a fondi di garanzia sui prestiti interbancari) che hanno puntellato la fiducia tra intermediari finanziari e tra questi e gli investitori ha sinora evitato il peggio.
Non possiamo non osservare però che il prezzo dell’intervento delle banche centrali e degli stati nazionali è stato l’aumento della loro vulnerabilità e il peggioramento dei loro bilanci. Anche se alcune operazioni potranno rivelarsi a distanza a costo zero se tutto va bene, il rischio è che l’indebitamento pubblico salga e di molto. Le banche centrali si sono trasformate in banche ordinarie (accettano depositi, comprano titoli spazzatura o li accettano in garanzia, fanno prestiti) e hanno bilanci che ricordano oggi quelli delle banche in difficoltà per quanto riguarda rapporto tra patrimonializzazione e attivi. Insomma si sono esposte molto e in caso di difficoltà dovrà intervenire di nuovo lo stato con ulteriori conseguenze sul debito.
 
Per fare sintesi nella Babele di proposte avanzate in questi giorni tre sono le cose essenziali.
Primo, sottoporre a regolamentazione prudenziale tutti quegli intermediari non bancari (hedge funds, società veicolo, private equity) il cui ruolo sui mercati finanziari è sempre più importante con un nuovo sistema di regole (Basilea III) che finalmente imponga lo stop ai semafori non alle ambulanze ma alle auto di grossa cilindrata che finora hanno scorazzato per il centro abitato senza alcun freno o vincolo.
Secondo, ridurre il rapporto tra debito e capitale proprio a un livello ragionevole (ben inferiore agli eccessi di 30 a uno registrati in taluni casi). Terzo, è necessario varare misure che ridiano valore ai derivati sul credito. Il loro valore nazionale pre-crisi ammontava circa a 58 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari, all’incirca corrispondenti al Pil mondiale. Nel momento più acuto della crisi i titoli tossici hanno finito per perdere circa la metà del loro valore sul mercato secondario. Sono queste le proporzioni del buco che rendono la crisi drammatica. In tale prospettiva la misura forse più utile è quella di rendere i possessori dei mutui subprime nuovamente solvibili riducendo gli oneri dei loro mutui con contributi pubblici, distribuendo gli oneri del “condono” tra settore pubblico (in massima parte) e creditori. Ciò potrebbe far crescere il valore dei derivati sul credito riducendo le perdite nei portafogli delle banche e degli intermediari finanziari e quelle delle stesse banche centrali che hanno in parte acquistato questi titoli dalle prime. La misura dovrebbe essere una tantum e soltanto legata al passato per evitare fenomeni di azzardo morale ed incentivi a ricreare nuovamente nel futuro soluzioni del genere. L’applicazione delle misure al punto uno e due dovrebbe evitare in gran parte questo rischio.
 
Alla luce di queste considerazioni due sono le speranze fondamentali. Che la linea francese e dello stesso Financial Stability Forum prevalga sul bolso spot pro deregulation lanciato ancora una volta dal presidente Bush (che ancora non ha capito o fa finta di non capire quello che è successo) e sul tentativo di alcune lobbies di impedire la riforma di Basilea e delle regole sulla leva finanziaria. Che a queste misure si aggiunga un intervento più mirato sui possessori dei mutui subprime in modo da bonificare la sorgente delle turbolenze e delle perdite in conto capitale sulle attività derivate.
Altrimenti nulla potrà evitare un conto salatissimo sulle generazioni presenti e future che dovrà essere pagato, oltre che con una prolungata recessione oggi, con una forte fiammata inflazionistica (esattamente quello che accadde con Roosevelt dopo la crisi del ’29) o con un rigore nelle politiche di bilancio future di cui non sarà possibile vedere la conclusone all’orizzonte.
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