Non ce lo nascondiamo: non vediamo l’ora di aprire il giornale, o di raggiungere il primo telegiornale utile, per sapere a che punto stiano le indagini sull’omicidio di Perugia, quello della povera Meredith. Non vediamo l’ora di saperne qualcosa in più per improvvisarci anche noi investigatori, per carpire prima di altri quel particolare capace di risolvere l’enigma e condannare od assolvere la bella Vanessa ed il suo ex fidanzato Raffaele. Lo facciamo con l’animo diviso, perché in cuor nostro, segretamente, speriamo che le indagini continuino a lungo, che il giallo non finisca e produca nuova suspence, adrenalina e, magari, qualche colpo di scena capace di rimettere tutto in gioco. In un buon romanzo giallo, il genere di narrazione più facile da costruire ma anche il più amato dal pubblico, l’assassino si scopre solamente all’ultima pagina, non prima. E’ il coronamento di una trama complicata, tessuta con pazienza per catturare l’attenzione, e talvolta l’anima, del lettore.
C’è un unico particolare da non sottovalutare nell’omicidio di Perugia, come nella triste vicenda di Garlasco e in tutte le altre che affollano spesso le prime pagine dei quotidiani: qui non si tratta di finzione, ma di realtà. Qui non si tratta di scrittori, ma di giornalisti, e mezzi di comunicazione, che hanno il dovere morale di non speculare sul dolore. Qui, Meredith, Vanessa e Raffaele non sono personaggi da romanzo ma persone vere che stanno vivendo, o hanno vissuto, un dramma indicibile, che chiedono la nostra vicinanza, non da spettatori di reality, ma da persone capaci di provare realmente “com-passione” per il dolore altrui.