Non è mancato infatti l’accostamento tra la divulgazione delle notizie riservate ed un nuova frontiera della società dell’informazione fatta di incursioni, “ scippi” di dati, finalizzati a mettere a nudo il potere, specie nelle sue degenerazioni e nei suoi livelli più occulti e meno apprezzabili.
Non v’è dubbio che la società della comunicazione stia facendo segnare passi in avanti straordinari verso la condivisione di notizie un tempo riservatissime e che ciò sia sempre più spesso garanzia di conoscenza per comprendere i fenomeni sociali, politici ed economici. In altre parole, nell’alternativa tra conoscere troppo o troppo poco è comunque preferibile la prima opzione. Ma tutto questo non deve risolversi in un’orgia informativa in cui appare soltanto la punta mentre l’iceberg resta pericolosamente sommerso, attentando in maniera altrettanto insidiosa alla navigazione del governo democratico, a maggior ragione globale, dei processi in corso.
Ad essere ancora più espliciti, è interessante – anzi, fondamentale – poter accedere ad informazioni un tempo inavvicinabili: chi avrebbe mai immaginato che un giorno avremmo potuto leggere i rapporti della diplomazia e soprattutto di quella americana! E c’è soltanto da rallegrarsene, sebbene non vada messa in parentesi una serie di quesiti del pari decisivi: chi ha fornito le notizie a WikiLeaks? Il sito di quali altre informazioni dispone? Chi le “ filtra”? Chi decide quando i dati vanno diffusi ed in che forma?
Non sono domande di poco conto alle quali i “cultori” della “nuova frontiera” dell’informazione e della democrazia telematica non possono sottrarsi. Assange è realmente un benefattore dell’umanità o è lo strumento – consapevole o meno – di interessi di gruppi specifici, probabilmente di natura economica, che gestiscono il mercato delle notizie piegandolo agli obiettivi caso per caso per loro prevalenti?
Ad esempio, che si indaghi, anche attraverso le fonti riservate delle ambasciate sui rapporti “ speciali” del governo italiano con quello russo è un fatto rilevante nell’ottica della trasparenza alla quale si faceva cenno, ma sarebbe ugualmente interessante comprendere se le multinazionali, americane e non, abbiano “ uomini propri” nella diplomazie, nei governi, nelle strutture decisionali dove si stabilisce, la politica energetica, industriale e così via.
Il discorso ha molte affinità con quello del controllo della comunicazione, rispetto al quale è paradigmatica la vicenda dei “ cattivi” rapporti tra Murdoch e Berlusconi: che vi sia qualcuno che, per ovvie ragioni politiche del momento, veda nel “Signor Sky” il maggiore oppositore dell’attuale maggioranza di governo, è comprensibile, ma che nel fare ciò si dimentichi che l’egemonia del “monopolista di fatto” della televisione satellitare sia assai più drammatica del “monopolio casereccio” di Rete 4, tanto per fare un’esemplificazione, è un errore di prospettiva storica imperdonabile.
In un tempo in cui si torna a discorrere di Destra e Sinistra, e dei relativi valori fondanti, magari con vuoti riferimenti superati e retorici, sarebbe utile ricordare che è di sinistra (ma anche di centro e di destra) interrogarsi sul governo parallelo ed occulto del mondo, che forse vi è da sempre ma che oggi dispone di terribili strumenti di dominio globale. O forse l’ubriacatura antiberlusconiana del momento sta facendo perdere di vista questi aspetti? Non vorrei che, risolto tra qualche mese quello che sembra il “problema”, ci trovassimo nell’impossibilità perenne di andare a fondo dei problemi, rassegnati all’etero-determinazione dei nostri destini da parte di soggetti che selezionano notizie, orientano opinioni pubbliche planetarie, e che, magari tra non molto, potrebbero decidere che la funzione “ catartica” del primo presidente nero degli Usa si è esaurita e che anche Obama vada rimosso, perché no, con qualche altra notizia riservata.
Il caso WikiLeaks ha ovviamente varie chiavi di lettura e presenta molteplici questioni, ma forse un aspetto non è stato affrontato compiutamente pur essendo meritevole di approfondimento. Mi riferisco al rapporto tra le rivelazioni apparse sui media internazionali ed il tema della libertà di informazione e, più in generale, della trasparenza “globale” di cui lo “stile” di Assange sarebbe emblematico.
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