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La parte più rivoluzionaria del discorso di Obama all’Università del Cairo e’ l’affermazione inequivoca della identificazione della religione con la pace.
In questo il discorso del presidente americano noto molte assonanze con quelli recenti di Benedetto XVI in Medio Oriente ma anche con quello (incompreso e da rileggere) di Regensburg.Il discorso di Obama colpisce soprattutto per il suo carattere personale e poco diplomatico.
I cambiamenti introdotti dalla globalizzazione hanno indotto molti musulmani a considerare l’Occidente come un nemico. E allora il presidente americano, prende le mosse dalla sua storia personale per rompere la diffidenza del mondo islamico che dalle TV del mondo intero lo ascoltava.
"Sono cristiano, – esordisce Obama – ma mio padre era originario di una famiglia musulmana del Kenia. Da bambino ho trascorso svariati anni in Indonesia, e ascoltavo al sorgere del sole e al calar delle tenebre la chiamata dell’Azan. Da giovane ho prestato servizio nella comunità di Chicago presso la quale molti trovavano dignità e pace nella loro fede musulmana. Ho studiato storia e ho imparato quanto la civiltà sia debitrice nei confronti dell’Islam"
Come captatio, niente male secondo i migliori canoni delle retorica ciceroniana. Poi forse era sopra le righe il riferimento alle radici islamiche dell’illuminismo, preso a prestito dalla vulgata su Averroè che un autorevole storico di recente ha messo in discussione (G. Gouguenheim, Aristotele contro Averroe’, Rizzoli 2009).
Ma nel discorso di Obama c’era più della retorica. C’era il sogno di Martin Luther King, come e’ stato giustamente osservato. C’era il vantaggio comunicativo della sua storia personale.
E il meglio della tradizione culturale dell’Occidente, che Obama ha sapientemente collegato con la Bibbia e con il Corano.
Nello storico discorso del 4 giugno 2009 al Cairo c’erano i diritti umani, lo Stato di diritto, la democrazia, la libertà d’espressione, la tolleranza, la libertà di religione, l’onesto riconoscimento che la guerra in Iraq e’ stato un errore.
Insomma tutti gli ingredienti per condire con i valori della libertà un discorso teso a valorizzare il patrimonio di civilità umana dell’Islam e a mettere la sordina alle differenze e alle criticità sul terreno della libertà religiosa conculcata nei paesi islamici, della condizione della
donna etc etc.
Ma ovviamente affermazioni critiche sarebbero state del tutto fuori luogo in quel contesto di tentativo di riconciliazione dopo la "rottura storica" dell’attentato alle torri gemelle. Ma questi dati non devono sfuggire agli entusiasti obamiani d’Italia perché con l’Islam e’ obbligatorio dialogare ma nel rispetto delle differenze e nella autonomia di pensiero.
Infine la parte più attesa del discorso di Obama ha affrontato la questione palestinese, dicendo chiaramente che la Shoah non può essere negata e che minacciare Israele di distruzione è profondamente errato. E affermando altrettanto chiaramente che "la situazione del popolo palestinese e’ intollerabile" e che sono necessari "due Stati".
Un discorso non reticente che è piaciuto a tutti, salvo Al Quaeda e i coloni israeliani.
Ma il finale del discorso obamiano resterà per molto tempo nella memoria di tutti gli uomini di buona volontà.
Proprio perché riprende i toni e i messaggi dei più recenti discorsi di Benedetto XVI.
"Noi tutti – ha concluso Obama – condividiamo la responsabilità di dover lavorare per il giorno in cui le madri israeliane e palestinesi potranno vedere i loro figli crescere insieme senza paura; in cui la Terra Santa delle tre grandi religioni diverrà quel luogo di pace che Dio voleva che fosse".
Un sogno? Il nuovo sogno americano del primo presidente di colore.
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